Mercoledì sera leggo su Televideo una intervista al direttore del Censis, che mette in guardia dai rischi connessi al mercato immobiliare italiano. Ora la cosa comincia ed essere riportata anche dai giornali, vedi il Sole 24 Ore, cito: “…l’effetto Imu – e più in generale, delle nuove tasse – si farà sentire presto sui prezzi delle case, che subiranno una drastica diminuzione. Tanto che a fine anno, i valori delle case si ridurranno del 20%, con punte superiori al 50 per cento. È l’allarme rosso lanciato da Giuseppe Roma, direttore generale del Censis…”. E ancora su Rainews24: “...e’ raddoppiato il numero delle famiglia in forte difficoltà a pagare il mutuo (dal 10,5% nel 2011 al 22,6% del 2012). Ci sono tutte le condizioni – secondo il Censis – perché le famiglie da compratrici possano avere la necessita’ di vendere…”. Su Economiaweb trovo riportato che “…il rischio di una bolla immobiliare si rivela meno astratto del previsto…”.
Siamo forse giunti al dunque? E al dunque di che cosa? Meglio fare qualche passo indietro. Dire che esiste un “rischio di bolla immobiliare” è qualcosa di criptico: se una bolla esiste, esiste e basta. Non nasce certo un paio di mesi prima di scoppiare: in genere le bolle immobiliari si sviluppano per molti anni. In Europa e nel mondo esistono tanti casi recenti di bolle speculative appena scoppiate, assieme ad un numero elevato di situazioni apparentemente vicine allo scoppio. Per i casi storici conclamati, merita sempre la lettura la vicenda Usa riportata in enciclopedia; notevoli anche i casi di Irlanda e Spagna.
Questa però è storia antica, ormai consegnata ai testi di scuola; anche uno cieco vedrebbe queste bolle speculative, si sono già concluse. E’ ben più difficile riconoscere una bolla prima che questa scoppi: questo è un esercizio complesso. Esistono per l’appunto anche tante situazioni che in questo momento potrebbero preludere a crolli delle quotazioni, qui un bel riassunto. Insomma, in Italia c’è una bolla? I prezzi degli immobili sono gonfiati o no?
Il problema è vedere se esiste il modo di riconoscere una bolla speculativa generica. Di solito si dice che le quotazioni di un bene o di un comparto dovrebbero muoversi in sintonia con l’andamento economico generale: se la nostra economia nazionale si è estesa di un 5 % in tre anni, è ragionevole pensare che i nostri immobili, crescendo di numero e/o di prezzo, abbiano incrementato il proprio valore globale in maniera simile. Se la capacità di spesa degli acquirenti cala e le case vedono aumentare in maniera terribile i propri prezzi allora siamo davanti ad una bolla, almeno a livello di aritmetica. Un altro modo di definire il problema è ragionare sui rapporti tra domanda ed offerta: in molte zone d’Italia abbiamo una massa enorme di unità abitative in eccesso, tema già discusso e piuttosto noto. Se le abitazioni crescono di numero in maniera incontrollata e non trovano famiglie che le occupino, non è possibile veder crescere i prezzi; anche in questo caso siamo entrati nel campo dell’economia speculativa. I prezzi crescono, e non ve ne sarebbe ragione logica, in teoria.
I dati sul tema vengono nascosti con cura certosina: la Banca d’Italia, ad esempio, pubblica rapporti che abbracciano solo gli ultimi 3 o 4 anni. L’effetto è quello di rendere invisibili le variazioni importanti, quelle di medio periodo. Eurostat fa purtroppo la stessa cosa, o poco di meglio. L’andamento storico delle quotazioni degli immobili italiani sembra un segreto ben custodito. Per ottenere qualche dato occorre affidarsi, ad esempio, al servizio statistico della Bank of International Settlements; che rende visibili le basi dati italiane che Italia ed Europa cercano di coprire. In particolare nella sezione dedicata alle quotazioni immobiliari delle nazioni associate. Il foglio elettronico con i dati riporta l’andamento delle quotazioni immobiliari – per metro quadrato – ponendo un indice pari a 100 nell’anno 2005; sono rappresentati i soli immobili residenziali. Giusto per fare qualche paragone, è utile considerare l’andamento dei prezzi al consumo, così come proposto nelle serie storiche Istat appena pubblicate per i 150 anni dell’Unità d’Italia.
Indici dei prezzi degli immobili e dei prezzi al consumo. Fonti: BIS, Istat.
Il grafico mostra l’andamento dei due parametri: in blu (asse a sinistra) l’indice dei prezzi al consumo in Italia, in rosso (asse a destra) l’indice delle quotazioni immobiliari. Impossibile valutare ad occhio, ma i conti non sono difficili: nel periodo 1990 – 2010 l’indice prezzi al consumo ha registrato un incremento pari a + 75,7 %; nel caso delle quotazioni degli immobili residenziali l’incremento pare essere un + 164,1 %. Le case avrebbero moltiplicato i propri prezzi nominali per più di due volte e mezza.
Il fatto che l’inflazione in campo immobiliare corra più spedita rispetto ad altre voci di spesa è un segnale di pericolo. Per capirci meglio, dobbiamo ricordare che le retribuzioni orarie lorde per un campione scelto di contratti di lavoro nello stesso ventennio sono cresciute di un + 88 %. Dato ingannatore, ovviamente: non contabilizza la contemporanea diffusione dei contratti precari, la vera voragine che ha polverizzato le famiglie italiane. La distanza tra lo stipendio di chi compra e le richieste di chi vende sembra essersi fatta abissale.
Una cosa interessante negli andamenti disegnati è la ciclicità: negli anni ’90 le quotazioni degli immobili erano stabili in valore nominale. La presenza di inflazione le faceva sgonfiare in termini di valore reale: gli immobiliaristi sono soliti dire che in Italia “le case non hanno mai perso valore”, e sanno bene che questo è vero solo in termini nominali. Ad ogni modo lo spaventoso incremento registrato dal 2000 al 2008 è ancora li, per ora non sembrano esserci grossi cedimenti.
Ultimo: uno sguardo aggregato alle varie bolle e bollicine in questo pezzo; l’Italia non ha fatto cose molto diverse da quelle fatte dalle altre nazioni. Nonostante l’impegno profuso dalle nostre autorità nel nascondere la situazione, davvero ammirevole, pare di scorgere comunque qualche eccesso nei prezzi dei bilocali italiani. In una nazione nella quale il potere d’acquisto delle famiglie sembra contrarsi senza sosta, forse anche le pretese dei palazzinari dovranno essere ridiscusse.