Pubblicato su I Mille.
Nella nostra nazione si discute spesso di grandi opere, di cantieri, di nuove strade o ponti o porti. Di solito non si discute molto dell’esistente. Non sembra attrarre più di tanto l’attenzione: sarà che tendiamo a dare per scontate le cose che ci circondano, e che siamo abituati a vedere al proprio posto. O magari sarà che riusciamo a concepire una qualche forma di futuro solo nelle cose nuove, che esistono esclusivamente nei nostri pensieri. Tendiamo a dimenticare con facilità il fatto che molte opere realizzate dagli antichi romani sono ancora qui, in piedi; e magari hanno visto nascere e tramontare strutture ben più mediocri. Il futuro non appartiene necessariamente a curiosi sogni mal congegnati: può anche darsi che risieda piuttosto nella nostra capacità di preservare bene quello che abbiamo, almeno in parte. Ma questo è un modo di ragionare assai noioso, per nulla attraente.
Per affrontare un tema simile con un minimo di leggerezza mi pare d’obbligo ragionare su qualche esempio didattico e lampante. Tra i tanti, nella mia regione mi viene in mente il caso del ponte stradale sul fiume Po che a Piacenza è crollato, tra fragorose polemiche, il 30 aprile del 2009. In quel momento il fiume era in piena, e così Anas ritiene corretto far passare il tutto come un disastro naturale. Si pronuncerà la magistratura di Lodi, ma la vicenda è complessa. Ben lo ricorda questo articolo di Newstreet: “…sulle cause del crollo è aperta un’inchiesta della Procura di Lodi. Sembra emergere una conferma dell’ipotesi di una frattura, una “cricca” come dicono i tecnici, nell’acciaio, in un punto che non doveva sostenere carichi e in cui era occulta….”. Ferraglia in condizioni non ottimali, o semplicemente una piena eccezionale? Possiamo cercare qualche risposta utilizzando gli annali idrologici targati Arpa Emilia Romagna.
Il 29 aprile 2009 a Piacenza il Po aveva una portata di 6730 m3/s, discesa a 6630 il giorno seguente. Elevata per il mese di aprile, ma non in termini assoluti: si tenga presente che nella stagione autunnale alla stessa sezione d’alveo è possibile misurare portate di più di 12.000 m3/s. Durante l’evento del novembre 1994, che causò tante vittime in Piemonte, all’altezza di Piacenza vennero misurate portate di circa 11.000 m3/s. Il ponte stradale in questione riuscì a sopravvivere a quelle piene: come avrà fatto a spezzarsi di fronte ad una portata così contenuta? Difetto di costruzione, cattiva manutenzione, fatalità imprevedibile o tante cose assieme? Difficile dirlo con sicurezza ora, ma qualche sospetto rimane. E questi sospetti paiono essere stati presi in considerazione anche dai magistrati. In un articolo della Stampa di quei giorni leggo che: “….sopralluoghi Anas tra il 2003 e il 2006, che portarono a ritenere «irrinunciabili» interventi su un ponte «ammalorato». Ma che partirono solo nel 2008 e che si sono conclusi solo sulla parte alta della struttura…”. Il degrado del manufatto in realtà era oggetto di contesa da parecchi anni. Vedremo come andrà a finire: al momento perlomeno il ponte sostitutivo ha preso a funzionare, e per gli utenti questo sembra poter chiudere il problema.
Per contestualizzare la vicenda è ora il caso di domandarsi quanto siano estese le nostre reti infrastrutturali. Le strade per esempio: qualche dato utile lo possiamo ottenere dal nostro Istat. Il modo di censire le nostre reti viarie è cambiato nel tempo, producendo anomalie non indifferenti. I due eventi più interessanti sono da una parte la scomparsa del dato relativo alle strade extraurbane comunali – circa 142.000 km nel 1978 – e dall’altra il declassamento di parte della rete statale avviato nel 2002; queste ultime strade sono divenute provinciali.
Rete stradale maggiore in Italia (km), e tasso di crescita globale (%). Fonte: Istat.
Dopo un periodo di relativa stasi, negli anni ’80 e ’90, gli italiani hanno cominciato ad inaugurare nuove strade con un certo entusiasmo. E si badi che il grafico non comprende le strade in carico ai comuni, anch’esse probabilmente cresciute di parecchio. I tassi di crescita – riferiti all’asse di destra ed in media mobile – mostrano abbastanza bene questo cambiamento. Nel periodo 2001 – 2010 la rete stradale maggiore si è apparentemente accresciuta nel suo complesso di quasi 17.900 km di nuovi tracciati: in prevalenza strade extraurbane di varia natura in carico alle province. La sola rete autostradale mostra incrementi più contenuti, pari nello stesso lasso di tempo ad un modesto + 2,9 %, o 190 km. E’ certamente vero che una parte dei nuovi tracciati devono essere riclassificazioni di strade comunali esistenti, ma questo non significa che si tratti di operazioni a costo zero. E d’altronde posso testimoniare che esistono anche casi di segno opposto: e cioè strade statali e provinciali declassate a comunali dopo il varo di qualche arteria alternativa.
Pur nella nebbia che tipicamente caratterizza le rilevazioni statistiche in Italia, pare di vedere la tendenza a moltiplicare i tracciati stradali disponibili. Una scelta assai curiosa per una nazione che nell’ultimo decennio ha perduto qualcosa come un quarto dei propri consumi di petrolio. Un’altra cosa interessante è l’assetto organizzativo: il salto mostrato nel grafico testimonia come detto la scelta di rifilare alle province la gestione di parte delle vecchie strade statali, a compimento pratico del decentramento amministrativo tanto di moda qualche anno fa. Ora che l’amministrazione centrale ha tagliato i trasferimenti agli enti locali ed ha cominciato a smantellare alcuni di essi, viene da chiedersi chi effettivamente si prenderà cura delle opere che questi ultimi avevano ricevuto in carico. Il problema è impellente, perché con tutta probabilità già ora le amministrazioni locali hanno perso parte dei mezzi necessari alla manutenzione delle proprie reti infrastrutturali. Non possiamo saperlo con certezza, giacché nessuno dei responsabili ce lo verrà mai a raccontare in maniera troppo esplicita: ma non è una buona idea aspettare di scoprirlo cadendo in acqua da un ponte spezzato.
Per concludere vorrei invitarvi a spulciare qualcosa della messe di articoli e documenti prodotti attorno alla nostra autostrada del sole, in specie per quanto riguarda il tratto appenninico. Tra le varie cose, qualche articolo sulle deformazioni subite da alcuni viadotti e da una galleria della variante in costruzione. D’altronde, le ingiurie del tempo si fanno sentire su materiali non proprio pensati per l’eternità. Questo è un esempio tra i tanti possibili, e nemmeno il peggiore. Guardando queste collezioni di fotografie di calcestruzzo sbriciolato e travi arrugginite, mi è venuto da pensare che forse è giunto il momento di riflettere con calma e lucidità su quello che stiamo facendo; e di decidere cosa effettivamente possiamo permetterci di fare a fronte dei mezzi di cui disponiamo.
molto interessante.
Una domanda: nelle statistiche, le rotonde come vengono trattate? E l’aggiunta di una corsia? E la risistemazione di svincoli, passaggi etc.? Mi sembrano classi di opere che possono agevolare fortemente i trasporti, ma non corrispondono ad aumenti chilomentrici del parco stradale; negli ultimi anni ho come l’impressione che rappresentino i tipi di lavoro eseguiti principalmente, molto più che aumentare i chilometri di tracciati.
Le intersezioni molto probabilmente non vengono contabilizzate; lo dico da ex cartografo. E’ probabile che la rilevazione faccia riferimento a scale di rappresentazione che rendono irrilevanti questi elementi. Comunque non ho notizie precise su questo, bisognerebbe chiedere ai tecnici che curano i censimenti.
Quanto ai nuovi tracciati: il solo sistema di tangenziali di Parma, appena ultimato, totalizza 26,5 km (almeno stando ai rilievi forniti da Anas). Quante tangenziali abbiamo visto nascere nelle nostre campagne negli ultimi quindici anni?
Ottimo articolo, grazie.
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Considerazioni interessanti di un geologo modenese, in un post di qualche giorno fa.
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