I figli della Cina

La moderna Cina – erede dell’unificazione compiuta con l’impero Qin – si appresta a rivedere le politiche demografiche messe in opera negli ultimi decenni. Si va verso l’abolizione della chiacchierata normativa sul figlio unico – così la chiamiamo noi occidentali – introdotta a livello nazionale nel 1979. Una notizia sbandierata su molti media italiani e stranieri, vedere qui, qui e qui. Ovviamente le semplificazioni abbondano: una su tutte, l’effettivo campo di applicazione delle normative in questione. In un articolo in italiano leggo che “….La “politica del figlio unico” [omissis] fu attuata vietando alle donne di avere più di un figlio….”. Semplice e lineare.

Sulla pagina dedicata dell’enciclopedia in inglese possiamo per contro scoprire che le cose stanno in maniera un po diversa: “…As of 2007, 35.9% of the population were subject to a strict one-child limit. 52.9% were permitted to have a second child if their first was a daughter; 9.6% of Chinese couples were permitted two children regardless of their sex; and 1.6%—mainly Tibetans—had no limit at all…”. Il limite rigido è teoricamente applicato al 40% dei cinesi; essenzialmente operai ed impiegati delle aree urbane. Agricoltori, appartenenti alle minoranze – e furbastri con qualche aderenza altolocata, immagino – possono procreare con maggiore libertà. La norma non si applica agli stranieri residenti, né ovviamente ai cinesi espatriati. In pratica esistono molte vie più o meno lecite per allentarne la pressione: per giudicare tutta la vicenda possiamo solo valutare gli effetti tangibili delle scelte operate dai governanti cinesi.

Popolazione cinese per classi di età e sesso, piramide demografica; china population, age and sex demography, population pyramidPopolazione cinese per classi di età e sesso. Fonte: US Census Bureau.

Nell’arco di un ventennio, la Cina ha cambiato faccia; non mi è stato possibile reperire dati disaggregati per lassi di tempo più estesi. Quello che abbiamo davanti comunque è inequivocabile: una nazione che ha subito una profonda evoluzione demografica; da paese di giovani contadini a moderna nazione industrializzata – ed invecchiata, vistosamente invecchiata. L’età media dei cinesi è oggi di circa 35,2 anni – dato Cia 2009 – contro un valore medio globale di 28,4. Non è in assoluto una nazione di anziani, come quelle europee nelle quali ci si situa sistematicamente al di sopra dei 40: però l’invecchiamento si fa sentire, nel bene e nel male. Col passare degli anni la differenza tra noi ed i cinesi è destinata ad assottigliarsi.

La popolazione totale: nel 1980 si situava attorno al miliardo di abitanti, e da allora cresce abbastanza linearmente, seppure con un debolissimo rallentamento recente. Ad oggi si potrebbe stimare in 1,34 miliardi di persone – stima abbastanza affidabile, grazie al più recente censimento del 2010. La politica del figlio unico come va letta davanti a questi dati? In apparenza si tratta di un bluff: popolazione in crescita, poche variazioni, e soprattutto nessun mutamento reale negli anni ’80 all’indomani della introduzione della norma. Questo è quello che raccontano i modelli a “mucca sferica”. Naturalmente la realtà è più complessa: la popolazione nel mentre invecchiava, grazie al miglioramento delle condizioni economiche. Dato che ogni cinese vive di più, ed affolla per più anni le statistiche demografiche, è ovvio che una grossa fetta della crescita della popolazione sia dovuta non ad un reale incremento nel numero di persone per classe di età ma piuttosto ad un allungamento della speranza di vita delle stesse. Con una speranza di vita alla nascita cresciuta fino a 73 e più anni, ormai i cinesi sono destinati a situarsi di fianco alle nazioni sviluppate dell’occidente in tema di demografia.

D’altro canto le norme coercitive in tema riproduttivo hanno prodotto uno scalino nella piramide demografica che non sembra proprio rappresentare una nazione di figli unici: su classi di età quinquennali si passa dai 100 milioni di nati di trent’anni fa agli 80 circa del giorno d’oggi. Con ampie fluttuazioni al rialzo nel mezzo: evidentemente i figli dei cinesi unici proprio non erano, e la piramide delle età non perdona. Si noti che in teoria il tasso di fertilità in Cina sarebbe contenuto: si contano 1,55 nati per donna, stando a Cia. Bisogna però vedere che effetto hanno i trucchi disponibili per aggirare i divieti: movimenti oltre frontiera e figli non dichiarati. Ci vuole poco ad immaginare che i movimenti degli espatriati permettano una certa libertà in materia riproduttiva; e comunque i bambini inizialmente nascosti alle statistiche fanno notizia da decenni. Probabilmente questi fenomeni bastano ed avanzano per spiegare il gap residuo tra la fertilità ufficiale e la forma effettiva delle piramidi demografiche.

Questa politica del figlio unico allora cos’è? Un bluff? Un abominio? Una stramberia da regime comunista decrepito? Una strombazzata propagandistica? Forse solo abilità politica: volevano ottenere un minimo di contenimento delle nascite in una nazione con poca terra e tante bocche da sfamare. Anziché puntare a risultati mediocri – che non avrebbero raggiunto – hanno mirato alto: ottenendo i mediocri risultati sperati, più che sufficienti a modernizzare il paese. La Cina di oggi non è una baraccopoli del terzo mondo; e questo fatto va giudicato assieme, e non separatamente, agli abusi – talora schifosi – messi in atto dai burocrati di provincia in questi trent’anni. Questi tatticismi politici dovrebbero essere ben noti a noi italiani, che li abbiamo messi nero su bianco con Machiavelli cinque secoli or sono: “…acciò che, se la sua virtù non vi arriva, almeno ne renda qualche odore: e fare come gli arcieri prudenti, a’ quali parendo el loco dove disegnano ferire troppo lontano e conoscendo fino a quanto va la virtù del loro arco, pongono la mira assai più alta che il loco destinato, non per aggiugnere con la loro freccia a tanta altezza, ma per poter con l’aiuto di sì alta mira pervenire al disegno loro….”. I cinesi evidentemente la metafora dell’arciere la conoscevano bene.

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