Tassi percentuali di occupazione, disoccupazione, attività in Italia – per i giovani e totali. Fonte: Istat.
Tasso di occupazione: rapporto tra gli occupati e la popolazione di 15 anni e più, moltiplicato per 100. Tasso di disoccupazione: rapporto tra le persone in cerca di occupazione e le forze di lavoro, moltiplicato per 100. Tasso di attività: rapporto tra le persone appartenenti alle forze di lavoro e la popolazione di 15 anni e più, moltiplicato per 100. Forze di lavoro: la somma delle persone occupate e quelle disoccupate. Persone disoccupate: tutte quelle che cercano attivamente un lavoro. Persone inoccupate: tutte quelle che non hanno un lavoro e non lo cercano. Così racconta Istat, che tra l’altro nel 1993 espelle i quattordicenni dalle statistiche generando un grazioso scalino nei grafici.
Un bel caleidoscopio di numerini vero? Nel diagramma ho riportato all’incirca l’1% di quello che si potrebbe dire sullo stato del mercato del lavoro in Italia, e ce n’è già per scatenare una lite. Il tasso percentuale di disoccupazione totale è risalito negli ultimi anni, anche se di poco; ad ingrossare davvero le fila dei disoccupati sono i giovani, per i quali l’analogo tasso ha subito una impennata più decisa. Il tasso di attività totale è pressoché invariato da più di tre decenni: passati i 24 anni d’età, metà circa del campione lavora o cerca lavoro. L’altra metà non si sa, ma possiamo immaginarlo: lavora in nero, oppure vive in famiglia e lava gli abiti a qualcun altro.
A seconda di quel che guardiamo possiamo dipingere la nostra nazione in maniera totalmente diversa: la disoccupazione è marginale per chi ha più di 24 anni, ma permanentemente elevata per chi è più giovane. Il tasso di occupazione totale è addirittura cresciuto un po a cavallo del passaggio di millennio, ma in definitiva varia di poco. I cambiamenti li sopportano i più giovani: sono loro a veder scendere i tassi di occupazione ed attività, e da parecchio tempo. La mitica crisi del 2008 / 2009 è chiacchiera da bar: la caduta dei parametri specifici per i giovani era iniziata da quasi un decennio, e prosegue inalterata da allora. Ha sapore di demografia, e di cambiamento dell’assetto del sistema produttivo: c’è così tanto bisogno di calzolai e di panettieri appena usciti dalla scuola media inferiore che non li assume più nessuno. Lo avreste mai detto? Le bizzarrie statistiche italiane in tema di lavoro sono anche più grosse: per chi ne vuole ancora, ci sono le serie storiche di Istat. Divertitevi pure a raccontarmi perché la rappresentazione che offro è sbagliata in ogni sua parte; perché lo so anch’io che è così.
Sicuro che sia sbagliata? Io no.
Saluti,
Mauro.
Aumentano sempre più le aziende che non riescono a trovare i profili lavorativi richiesti, sento dire in giro. Ho la sensazione che in Italia ci siano troppi laureati in comunicazione e troppi aspiranti esperti di counseling.
La laurea in comunicazione non mi disturba; io ho perso tempo a rivoltare fango e cartografia e meccanica e calcoli…..e mi adatto, si adatteranno anche loro! Non è un dramma. Il problema è che il lavoro non c’è e – sorpresa – i cancelli si sono chiusi proprio per i profili più giovani e meno qualificati. Quando vi raccontano di “millantamila apprendisti gelatai sedicenni mancanti” vi (ci) stanno semplicemente prendendo per i fondelli. E lo sanno. Amaro. Anzi: acido.
Conosco pochissime persone che lavorano nel settore per cui han studiato e non ci vedo nulla di scandaloso altrimenti l’economia della società sarebbe determinata dalle scelte fatte a 14 anni e non dalle necessità del mercato.
Si, nelle serie storiche ISTAT c’e proprio da divertirsi. Ad esempio vedo che a parità di occupati sono aumentate sensibilmente le ore lavorate o che il PIL è aumentato sette volte per unità lavoro in 40 anni.
Giocare con questi numeri è anche troppo facile, vanno maneggiati con cura altrimenti sono solo il pretesto di aver ragione da parte di quello che urla più forte.
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