Pubblicato su iMille.
Interessante e polemico spunto da Corrado Truffi, attorno al nostro approccio alla mobilità: Sblocca Italia, ma non con le autostrade. Come dire: il desiderio di fare qualcosa per smuovere le acque è sacrosanto, ma oltre alle mere quantità in gioco sarebbe il caso di considerare anche la qualità delle azioni intraprese; a meno di voler semplicemente “scavare buche per poi riempirle”, antica e discussa battuta degli oppositori della crescita economica fine a se stessa. La polemica attorno ai progetti di estensione delle nostre reti stradali fa data a moltissimi anni fa, e probabilmente trova la sua radice nei lontani anni ’70: con i provvedimenti di moratoria che in pratica bloccavano l’espansione della intera rete autostradale italiana. In quegli anni reagivamo in maniera certamente criticabile, ma comunque risoluta e lucida, alla notoria carenza di carburanti: una cosa che pare non essere più di moda.
La storia fino ad oggi: i consumi di derivati del petrolio calano da molti anni nella nostra nazione, senza sosta apparente. Gli oli combustibili ad uso termoelettrico si sono praticamente estinti, ma ormai a venire intaccata è la stessa disponibilità di carburanti per autotrazione. In questo sgradevole contesto, viene da chiedersi quale sia l’impatto effettivo sul sistema dei trasporti: per un primo colpo d’occhio vale la pena dare un’occhiata alle statistiche Aiscat. Il traffico merci sviluppato dalla rete autostradale italiana, pur avendo temporaneamente retto il tracollo economico del 2009, ha preso comunque a declinare in tempi più recenti – si veda pag. 9 del più recente bollettino 2013. Meno marcata la discesa del movimento autostradale per passeggeri, seppur presente. Il fatto di considerare solo autostrade e ferrovie rischia di rivelarsi piuttosto limitativo, visto il peso preponderante dei movimenti eseguiti sulle reti stradali ordinarie. Per allargare lo sguardo almeno ai movimenti merci stradali ordinari, possiamo utilizzare l’Annuario Statistico edito da Istat. In breve: dal 2005 al 2011 i movimenti merci stradali nazionali scendevano da 211,8 a 142,9 miliardi di t·km; nello stesso intervallo temporale la controparte ferroviaria assisteva ad una discesa molto più debole, da 22,8 a 19,8 miliardi di t·km. La contrazione della mobilità passeggeri, seppur con maggiore ritardo, ha cominciato a farsi sentire a partire dal 2010 / 2011: l’ultimo dato accertato da Istat – nel 2012 – indica perdite di domanda di mobilità passeggeri di quasi un 10% rispetto al 2005. Tanto per non cambiare, più accentuate nel segmento stradale. Ciascun lettore può meditare su cosa stia succedendo in questi ultimi mesi.
In una situazione in cui gravi ristrettezze economiche obbligano cittadini ed aziende a ridimensionare i movimenti, in specie quelli su strada, viene da domandarsi quale possa essere l’utilità di nuove opere viarie. Questo anche al di là del costo effettivo delle stesse, pur notoriamente gonfiato nella realtà italiana. Le risorse necessarie ad una nuova opera di un certo impegno da qualche parte devono pur venire: che si parli di imposte statali o locali, o di pedaggi, farà poca differenza. Saremo in qualche modo noi cittadini a farci carico dei relativi costi. In un contesto di difficoltà economica generalizzata, questa scelta rischia paradossalmente di ridurre la domanda di mobilità. I cittadini e le aziende esposti ai prelievi necessari a finanziare le nuove opere finiranno invariabilmente col tagliare le spese più immediatamente comprimibili: ci vuol poco ad immaginare che tra di esse trovino posto quelle sostenute per i carburanti. Come dire: strade nuove, ma ahimè vuote; e gli esempi di questo genere cominciano già ora ad emergere.
La recente inaugurazione della BreBeMi, alternativa alla esistente autostrada A4 tra Brescia e Milano, pare mostrare problemi di gestione già ora. La sostenibilità finanziaria dell’opera traballa, al punto da indurre gli amministratori a richiedere fin da subito sgravi fiscali e dilazioni della concessione. Epilogo: una mesta battaglia a colpi di pubblicità per cercare di attrarre automobilisti, svolta anche tramite contestatissimi cartelli stradali; se il traffico non c’è l’unica cosa da fare è cercare di sottrarlo alla compagnia rivale. Ciliegia sulla torta: sulla nuova arteria mancano tutor ed autovelox, oltre alle aree di servizio. Che l’assenza di controlli possa creare un pericoloso ma appetibile mercato di autisti indisciplinati è una ipotesi tanto interessante quanto difficile da verificare, seppure ventilata con frequenza. La questione delle aree di servizio mancanti ha contorni meno romanzeschi: le gare vanno deserte, in ragione del timore che i transiti di automezzi non garantiscano la remunerazione degli investimenti richiesti. Forse questa celebre e nuovissima opera pubblica dovrebbe indurre noi italiani a qualche riflessione in tema di mobilità: meglio tardi che mai.
L’ha ribloggato su orbitsvillee ha commentato:
A volte un semplice ragionamento chiarisce la situazione, il problema che quasi sempre nessuno fa caso ai ragionamenti semplici, preferendo favole inutili ce però sostengono la nostra visione della realtà. In questo post ed in generale in tutto questo blog si ritrovano molti ragionamenti semplici… ma decisamente efficaci
E cosa sarà per il Passante Nord? la Civitavecchia – Rosignano?
E per la Mestre – Orte? (rimando alla tua pagina sull’emblematico caso dello scalo di Dinazzano e a un mio commento).
Siamo sempre lì,
Edilizia e traffico su gomma cancri del paese che vengono alimentati e sostenuti.
Pausa vendemmia, ci siamo fermati per il poco grado. Meteo schifoso, uve indietro oppure marce.
“….traffico su gomma cancri del paese che vengono alimentati e sostenuti….”
Questo passaggio merita un commento: il problema è che stiamo facendo il contrario, ma involontariamente. In una situazione in cui ogni giorno gli spostamenti calano, chiaramente non esiste più alcun limite rilevante in termini di infrastruttura. Se costruiamo nuove opere, finiamo senza volere con l’abbattere la mobilità su gomma: le risorse (fisco, pedaggio, ammortamento) sottratte ai cittadini deprimono consumi, viaggi, spese di vario genere. Meno gite fuori porta, meno camion che riforniscono i negozi.
E’ questa la cosa che non è stata capita: oggigiorno costruire una nuova strada non vuol più dire far crescere il traffico su gomma. Vuol dire colpirlo a morte, accelerarne la scomparsa: in particolare sottraendo alla collettività risorse che verranno risparmiate anche sui carburanti. Adesso chi volesse attenuare la caduta della mobilità su gomma dovrebbe fare una cosa semplicissima: eliminare i progetti superflui ed allentare la pressione fiscale. Non so se i nostri politici siano lucidi al punto da capire queste sfumature.
Un 10% di calo di richiesta di mobilità passeggeri rispetto al 2005 è fisiologico in un momento di crisi come questo. Anche il calo fosse più marcato questo non significa sia generalizzato, ci possono esser zone in cui è aumentato. Che alcuni tratti stradali in italia siano congestionati è fuori discussione. Possiamo discutere su quali interventi siano mogliori ma che non ci sia traffico in Italia proprio non esiste
Sono perfettamente d’accordo, il traffico esiste eccome; ed esisterà sicuramente anche fra trent’anni. Solo che anziché crescere continuamente – come è accaduto per cinquant’anni nel dopoguerra – ora cala continuamente. Il colpo più grosso lo ha subito il movimento merci su gomma con un −32,5% (certificato da Istat) sul periodo considerato. Il fenomeno è ben rispecchiato dal tracollo nel consumo di petroliferi (certificato da UP): 1,65 t/anno a testa nel 2002, contro 1 t/anno (o probabilmente qualcosa meno) ad oggi. Da qualche parte li staremo pure risparmiando, i carburanti.
Torniamo al punto: evaporato almeno in parte il limite infrastrutturale, ha senso costruire autostrade deserte di fianco ad autostrade scorrevolissime? Chi paga la spesa? Quale sarà l’impatto di questa spesa sull’autotrasporto? Le tasse in più – o i pedaggi, sono sempre euro – che andiamo a pagare da dove li andremo a sottrarre? Con che effetti? Esistono opzioni alternative? Soprattutto: qualcuno se lo è chiesto a Roma prima di varare il nuovo decreto “asfalta Italia”?
Ovviamente non ha senso costruire strade laddove quelle esistenti sono scorrevolissime, ma esistono moltissime strade che scorrevolissime non sono, i dati sul calo della domanda sono riferiti a un periodo di forte crisi e per quanto riguarda I petroliferi dipendono amche dal calo dei consumi dei veicoli. Inoltre non si può valutare la fattibilità di un’opera locale considerando dati globali, per la singola opera va fatta una valutazione a sé stante. È vero che l’urbanistica è diversa ma in Australia per esempio una coda all’italiana in una città da 300.000 abitanti è fantascienza, lo è anche a Brisbane che di abitanti ne fa circa 2 milioni
Caro Fausto: l’euro forte rende più conveniente importare che produrre. Se aumentano i consumi, si pone poi un problema di bilancia dei conti con l’estero.
Ecco perchè bisogna tagliare la domanda interna, e te lo dicono chiaro !!
Quindi, cos’altro dire? 😉
@ nottebuia: ” ci deve essere una operazione di domanda attraverso l’Europa, un’espansione della domanda”. Ma il resto d’Europa non è in zona Euro?
Esatto, Magodellapioggia. Tieni conto che anche i beni tedeschi sono per noi “relativamente più convenienti” (beni che non potremmo permetterci).
Se ci fosse cooperazione, la Germania dovrebbe correttamente accompagnare i suoi aumenti di produttività a maggiori redditi per i propri cittadini e conseguente espansione della domanda aggregata tedesca.
Purtroppo, la Germania fa invece deflazione salariale (riforme del lavoro Hartz, minijobs, eccetera) e compressione della domanda interna. In altre parole, la Germania si fa trainare dalle nostre economie esportando grazie a un marco-euro decisamente sottovalutato sia all’interno dell’eurozona che extra-UE.
Nulla di nuovo: è il vecchio mercantilismo, o beggar-thy-neighbour.
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L’ha ribloggato su Alessandria today @ Pier Carlo Lava.