Pubblicato su iMille.
Nella città di Genova le ferite prodotte dalla recente alluvione sono purtroppo ancora fresche. Così come lo sono anche a Parma, o nella bassa pianura modenese. Una triste scia di disastri che ci lascia in eredità morti, feriti, sfollati; assieme ad una conta dei danni che probabilmente, per questi soli tre eventi, supera già i 700 milioni di euro. Si ripropone inevitabilmente la discussione attorno alla necessità di difendere un po meglio la sicurezza del nostro territorio: una diatriba che dopo decenni di dibattiti e giravolte normative ci lascia un Paese apparentemente in panne, incapace di dotarsi di strumenti minimi di tutela e salvaguardia dell’ambiente e dell’incolumità dei cittadini. La Liguria e Genova spiccano prepotentemente tra le aree che più hanno patito a causa di calamità naturali: varrebbe la pena ricordare che queste calamità sono legate alla mano dell’uomo, prima che ai capricci della natura. Se è vero che la sola presenza di insediamenti è decisiva di per sé quando si tratta di generare rischi – in assenza di comunità umane ovviamente non ci sarebbero rischi – è anche vero che l’urbanesimo in Italia raramente si è rivelato soffocante ed aggressivo quanto lo è nell’area di Genova. La città è edificata sulla linea di costa e, in mancanza di spazio, ha invaso ogni centimetro di terreno disponibile; l’orografia dell’entroterra non concede aree pianeggianti ampie ed accessibili. Le soluzioni impiegate per ovviare al problema sono talora bizzarre: tra queste, coprire di cemento interi corsi d’acqua e trasformarli in strade o parcheggi. O almeno illudersi d’esserci riusciti.
La foga edificatoria osservata in tante realtà italiane dovrebbe essere giudicata a livello funzionale: stiamo costruendo edifici ed infrastrutture, ma ci servono davvero oppure no? Non ha senso criticare un palazzo se fornisce riparo a famiglie altrimenti destinate a dormire per strada, le necessità fondamentali delle persone non sono negoziabili; le reti infrastrutturali collegate alla moderna urbanistica sono un corollario inevitabile di questa banale considerazione. Ancora una volta l’esempio ligure può venirci in aiuto: la Liguria consuma suolo a fini edificatori più o meno al ritmo medio osservato anche nel resto d’Italia. Stando al noto Rapporto Ispra 2014, la regione ha visto allargarsi le superfici impermeabili in media dal 5,9% nel 1989 al 7,2% nel 2012; un dato ben poco distante dal 7,3% registrato a livello nazionale. Posto che le superfici artificiali crescono in maniera regolare, domandiamoci a quale pletora di utenti vengano offerte le opere realizzate: come varia la popolazione residente? La Liguria, stando ad Istat, passa in poco più di vent’anni da 1,68 a 1,57 milioni di abitanti, una perdita pari a – 6,5% dal 1991 al 2012; confermando un trend in discesa che prende le mosse fin dagli anni ’70. Il capoluogo non fa meglio, vive più o meno le stesse dinamiche demografiche: Genova si spopola anch’essa abbastanza linearmente dagli anni ’70, passando da un picco di più di 800.000 residenti ai circa 600.000 attuali. Una situazione curiosa quindi il rapporto tra il costruito, l’ambiente circostante ed i cittadini: l’economia ligure ristagna da decenni, i cittadini fanno le valige, i figli non nascono. Ma tutte queste cose non sono importanti: ogni anno la Liguria, come d’altronde tutta l’Italia, insiste a ricoprire di cemento e catrame la sua brava quota di territorio secondo una tabella di marcia che pare non voler conoscere interruzioni.
Non è facile ragionare sulle strutture industriali, talora abbandonate ma difficili da reimpiegare; è però leggermente più facile osservare la situazione degli immobili residenziali. Pare che esistano nel solo comune di Genova almeno 25.000 unità inutilizzate: e si badi bene che si tratta certamente di una sottostima grossolana, posto che in Italia è possibile trovare famiglie di quattro persone intestatarie di quattro prime case. L’urbanizzazione regna sovrana nel capoluogo, ed avanza senza sosta nel resto della regione. Capita che questi andamenti siano discussi in maniera accesa, ma l’esito è sempre lo stesso: si continua imperterriti. Un nonsenso plateale il procedere della distruzione dei suoli e delle coperture artificiali, una cosa che non ha logica né funzione in una realtà che si spopola senza sosta da decenni. E non è che le dinamiche demografiche del resto d’Italia siano tanto brillanti da giustificare le consimili trasformazioni del territorio già ricordate. Attenzione però a non sottovalutare le implicazioni del fenomeno: non stiamo parlando di mero spreco di risorse e di terra, c’è dell’altro. Quando si realizzano opere edili e reti infrastrutturali, occorre ovviamente anche manutenerle e mitigare i rischi naturali a cui sono esposte: e questo costa soldi e mezzi, che dovranno essere raccolti con le tasse. Se per caso ci si ritrova a gestire un ambiente costruito di dimensione eccessiva rispetto alla popolazione ed ai mezzi economici disponibili, l’effetto sarà uno soltanto: il deterioramento inesorabile delle opere. La carenza di fondi e di capacità operative renderà impossibile per gli amministratori eseguire interventi adeguati, o più probabilmente obbligherà a posporli quand’anche si tratti di lavori richiesti con urgenza. Decisamente insistere ad urbanizzare una realtà in declino economico e demografico non è stata una buona idea: ci abbiamo rimesso moltissimi soldi, ed abbiamo incassato anche qualche disastro.
Quando si osservano questi fenomeni, l’urbanizzazione senza logica, la riproduzione indefinita di lottizzazioni senza funzione, viene da domandarsi il perché di tutto questo. Una cosa che non ha logica apparente in teoria non si dovrebbe fare; tuttalpiù è possibile insistere per un intervallo di tempo limitato. In Italia insistiamo da decenni, e la cosa perde di significato almeno dagli ’80 a causa dell’appiattimento delle dinamiche demografiche. Se insistiamo imperterriti a consumare suolo, a realizzare opere discutibili, forse una logica sotto sotto c’è, magari basta cercare un po meglio. Potrebbe semplicemente trattarsi di una forma di tutela delle nostre tipicità: difendiamo con energia cose come il prosciutto o l’aceto. Perché non dovremmo fare altrettanto con il calcestruzzo? Nel 2005 l’Italia ha prodotto più o meno 46 milioni di tonnellate di leganti, piazzandosi al nono posto nel mondo tra i produttori maggiori. In termini di popolazione siamo la ventitreesima nazione del pianeta; e la ben più popolosa Germania nello stesso anno a stento toccava una produzione di cemento ed affini di 30 milioni di tonnellate. Il tracollo recente negli indicatori industriali non cambia ovviamente nulla di ciò che è già stato fatto, nel bene e nel male; la vetta nella classifica del cemento europeo rimane sempre appannaggio delle nazioni mediterranee. La scelta operata in questi anni dagli italiani è nota: sostenere l’edilizia. A quanto pare ci siamo riusciti benissimo.
I ripidi torrenti genovesi che riappaiono improvvisamente ad ogni acquazzone, riprendendosi lo spazio che si credeva di avergli sottratto, così come le aree industriali esposte senza cura alle alluvioni della pianura Padana probabilmente rappresentano bene l’atteggiamento di una nazione che è disposta a rinunciare a qualsiasi cosa, meno che al diritto di insistere ad invadere il proprio pericoloso territorio con opere fragili e talora inutili. Abbiamo varato le quote latte, ritenendo di dover impedire eccessi di produzione funesti per il nostro mercato; ed abbiamo ideato le accise per colpire la cattiva abitudine di sciupare carburanti costosi ed inquinanti. Ma chi ha detto che l’urbanizzazione incontrollata sia meno pericolosa degli allevatori veneti o del petrolio russo? Sulla scorta di cosa si ritiene che un parcheggio piazzato al posto del greto di un fiume sia più tollerabile di una stalla abusiva o di una vettura obsoleta? Sarebbe interessante rivolgere queste domande ai nostri amministratori locali, e sentire cosa rispondono. Sperando che non vogliano proporre ad un malato terminale di cemento una cura a base di ulteriori iniezioni di cemento: questo rischia di rivelarsi tragico prima che grottesco.
> Non ha senso criticare un palazzo se fornisce riparo a famiglie altrimenti destinate a dormire per strada, le necessità fondamentali delle persone non sono negoziabili.
Oh, scusi, signor Torrente in piena furiosaincazzatastraordinaria. Vede!? Qui c’è un palazzo, una zona residenziale, un uazuozuiz per i diritti_non_negoziabili delle persone (quali?). Di qui lei non puo’ passare!
Oh capisco, vedro’ di evaporare all’istante. Grazie. Mi ero dimenticato dei dirittinonnegoziabilideglihomo. Scusatemi tanto, nel cas non riuscissi ad evaporare vado ad esondare da un’altra parte.
Garantisco che è vero. Se dormi per strada, ti inventi un modo per coprirti quando piove. Ne sappiamo qualcosa in Emilia, a Bologna per dire è dai tempi di Cofferati che si fa battaglia contro i baraccati nei fiumi. Il problema è che se non gli dai un posto dove andare devono rifare le baracche – ovviamente a rischio allagamento.
La soluzione ci sarebbe, tanto per le baracche bolognesi quanto per i baracconi di cemento della Liguria: usare bene il patrimonio immobiliare esistente, e rimuovere le opere in soprannumero che sopportano gravi criticità. Che vuol dire tirare giù le costruzioni più imbecilli, e spedire gli occupanti – incolpevoli – in una delle milioni di abitazioni inutilizzate esistenti.
Impossibile fin quando esiste l’esenzione Imu per i palazzoni incompiuti dei nostri cari palazzinari: laddove si tutela il portafoglio di chi specula non c’è spazio né per le famiglie, né per le aziende vere, né per la tutela del territorio.
Fausto, io sono sostanzialmente d’accordo con gran parte dell’articolo.
Ma…
C’e’ un ma.
NON esistono in termini i diritti non negoziabili delle persone.
Ci sono dei contesti e delle leggi scientifiche secondo le quali avvengono degli eventi.
L’antropocentrismo vorebbe proprio mettere gli homo sopra tutto e al di la’ di ogni legge.
Ma non funziona cosi’ e non funziona cosi’ neppure nella dinamica degli eventi alluvionali e idrogeologici.
Esistono dei limiti anche per gli homo: ad esempio NON puoi crescere in modo esponenziale perche’ cio’ significa chge avrai sempre piu’ bisogno di aree artificializzate e cementificate, ad esempio per fare le tue abitazioni, le tue strade, i tuoi parcheggi e cio’ non e’ compatibile con gli spazi, le aree, le sezioni necessarie per certi tipi di piena.
Infatti tu lo chiami non sense in
“Un nonsenso plateale il procedere della distruzione dei suoli e delle coperture artificiali, una cosa che non ha logica né funzione in una realtà che si spopola senza sosta da decenni.”
Quindi il fatto che siano state fatte cose aberranti per i presunti diritti non negoziabili delle persone non le rende meno aberranti di un epsilon e quando viene giu’ il Bisagno o il Ferraggiano se ne infischiano bellamente e si riprendono gli spazi che sono sempre stati loro. In effetti sono Bisagno e Ferraggiano che hanno diritti non negoziabili, non gli homo.
A proposito: la popolazione italiana sarebbe in salvifica decrescita demografica (1.4 figli per donna) se non fosse alluvionata dall’orribile, violento tsunami migratorio che in un solo anno (2013) ha comportato quasi +1.1M homo in piu’ +1.097.441 residenti in Italia, http://demo.istat.it/bil2013/index.html.
Si può pensare quindi ad un aumento della popolazione alloctona / straniera di prima o seconda generazione di 1.3M o anche più praticamente sono state create dal nulla in un solo anno Torino e Bologna.
In un solo anno!!
Follia totale, il tumore umano in massima ripresa.
I limiti non sono negoziabili e questo ci verra’ insegnato via via con maggior frequenza.
Torno qui da altra discussione in cui citavo che i limiti fisici (spazio non possono che imporre una decrescita demografica).
Se vedete questo video sul torrente Burba (GE) citato in questa pagina del Corriere osservate come ci siano case (anche ristrutturate e/o con cappotto nuovo, etc.) ai lati del torrente. I diritti di homo etc etc etc.
Il torrente fa una pernacchia e prima o poi porterà via tutta questa ridicola hybris antropocentrica.
Quando dico che la pressione antropica eccessiva porta a costringere i corsi d’acqua in spazi angusti.
E che è necessario DECRESCERE dal punto di vista della pressione antropica perché se ci devono essere gli spazi per il biotico / verde / naturale/selvatico lì NON ci possono essere robe artificiali per homo. Si capisce?
Da quando studio ecologia con più assiduità, diciamo una buna dozzina d’anni, sono altrettanti che leggo che i mutamenti climatici porteranno situazioni meteorologiche via via più intense e via via più frequenti?
Risultato?
Ai G20 abbiamo 20 idioti (forse si salva Putin dal coro) che delirano sul rilanciare la crescita che significa aumentare il digestore economico che divora risorse non rinnovabili, sostiene la crescita demografica che distrugge altre aree / sistemi biotici (comportando una ulteriore diminuzione di biocapacità) prducendo rifiuti (di fatto) non biodegradabili.
Questo è un piano estremamente scemo. Direi che fa acqua da tutte le parti, è una frana di piano. Infatti.
L’ha ribloggato su Il Punto di Vestae ha commentato:
“La foga edificatoria osservata in tante realtà italiane dovrebbe essere giudicata a livello funzionale: stiamo costruendo edifici ed infrastrutture, ma ci servono davvero oppure no?”
Proprio in Liguria, le abbandonate caserme del C.A.R. in decadimento, mentre la vegetazione dei magnifici giardini interni si trasforma in steppa…
Albenga: chissà quanti lettori ci sono passati.. Stanno lì patrimonio negletto che diventerà un costo demolire quando anche i tetti, non solo i vetri delle finestre, andranno a pezzi.
Per rallegrare i lettori, segnalo che in una recente intervista – che ho potuto seguire di persona – Cofferati ha definito la difesa del suolo una questione di secondo piano. Forse stiamo sprecando il fiato per niente.
È difficile stimare quanti appartamenti siano vuoti anche perché immagino diversi siano affittati in nero. Per quanto riguarda gli alloggi ha più senso considerare il numero di famiglie che di persone perché nello stesso appartamento doveve negli anni settanta vivevano in 5 oggi vivono magari in 3. D’altra parte se si costruisce significa che esiste una domanda, il problema a mio avviso non sta tanto nelle nuove costruzioni quanto nelle vecchie. In una situazione sana si dovrebbero abbattere gli edifici vecchi e obsoleti ed edificarne di nuovi che rispondano alle esigenze attuali. Io credo si potrebbe eliminare il consumo netto di suolo semplicemente demolendo palazzine di 4 piani e 12 appartamenti grandi per sostituirli con palazzi più grandi e alti e appartamenti più piccoli. Inutile dire che si deve rinaturalizzare dove si può e trovare delle soluzioni tecniche adeguate dove è possibile
Il discorso circa lo sfitto non è gestibile in Italia. Il numero delle unità abitative censite dal catasto risultava essere di non meno di 33 milioni all’ultima retata. E attenzione: parliamo solo di abitazioni civili dichiarate, rustici e trucchi contano a parte. Le famiglie italiane al censimento risultano essere 24,5 milioni. Fate la differenza, poi sommate 1,2 milioni di “cantieri” con esenzione Imu (Mario Monti!), quindi cercate di stimare quanta altra roba (rustici, abusi, sovradimensionati, dichiarati in classe diversa) andrebbe aggiunta al patrimonio abitativo…..poi mettetevi a ridere, perché c’è da ridere in effetti. Buon divertimento.
Potremmo ospitare in nottata la Romania senza posare una sola pietra in più. Ma gli italiani non lo sanno, non si rendono conto di quale follia stiano vivendo. E’ una cosa così grave che non serve quasi raccontarla: chi capisce è fuggito, chi è rimasto fa finta di non sapere. Temo non esista soluzione, a parte attendere che accada l’inevitabile. E l’inevitabile accade sempre prima o poi.
Devono per forza di cosa esser più le unità abitative delle famiglie credo. Molti dicono di non affittare perché in Italia il proprietario non è tutelato in caso l’inquilino non paghi (vien da chiedersi cosa si tengano le case a fare ma tant’è). È anche vero che c’è gente folle che ha diverse case e non ne fa niente.
Non si può pensare di tornare a vivere in famiglie stipate in pochi metri quadrati, magari con due figli per letto testa-piedi come avveniva anche solo fino agli anni 60′ del secolo scorso.
E’ bene che nel 2014 le persone vivano e desiderino vivere con ampi spazi e sempre più ampi. Lo spazio è uno degli indici di qualità della vita.
+1.097.441, +1.8% solo nel 2013: con questa esponenziale (1.018^x) in 38 anni stivale di sardine inscatolate con 120M di abitanti, nei prossimi 10 anni solo 12M hin più. In 10 anni praticamente un altro tumore Lombardia da costipare nell’esistente.
Quindi andare a Il Problema che è la crescita demografica (dovuta solo alla violenza delle immigrazioni di massa).
La crescita esponenziale sbaraglia tutto in poco tempo.
E’ semplice matematica da liceo.
Vorrei sottolineare che il testo del post è rivolto ad un pubblico generalista. Quel tipo di pubblico che crede che l’acqua di un fiume si possa fermare con un muretto in cemento largo tre spanne. Sono cosciente fino in fondo delle implicazioni perverse delle crescite esponenziali, o della condizione in cui versano i suoli che insistiamo a coltivare in Italia. Con me non è indispensabile insistere.
Il problema è comunicativo, non tecnico: la maggior parte delle persone non accetta messaggi troppo diretti contenenti soluzioni, anche ovvie, a problemi che nemmeno percepisce. Prima di dire loro che devono prendere uno scavatore e liberare dal catrame un torrente genovese, devi fargli capire che non c’è modo di impedire ad un torrente di seguire l’impluvio in cui suole scorrere. Il problema è che si sono abituati a ritenere fattibili cose che a tutti gli effetti non lo sono; ma come glie lo spieghi?
E qui arriva la sconfitta, mia e di tutti gli altri: Burlando è bravissimo a far credere agli ascoltatori che esistano solo due soluzioni a base di cemento ad un problema che invece origina dal troppo cemento. Gli altri, quelli che hanno capito il problema, ovviamente si arrabbiano: ma non riescono a far breccia in un pubblico oggettivamente impreparato su questi temi. Non riescono a spiegare che l’unica soluzione praticabile è la terza: levare il cemento. La sfida non è capire, e neanche far capire a chi già sa: la sfida è comunicare queste cose a mia zia. E’ qui che fallisce la cultura della tutela ambientale, e continuerà a fallire per un pezzo se non ci concentriamo sulla comunicazione, quella che conta: quella rivolta ai meno preparati. Io sicuramente non sono un asso.
Ritengo che un vigile del fuoco che cerchi di svegliare, con garbo e delicatezza, bussando leggermente alla porta, quando già divampa il rogo per parte del corridoio, non stia facendo una buona cosa.
Dopo decenni di accurata rimozione dei concetto di limiti, di apologia natalista della crescita demografica esponenziale e di apologia economicista di crescita economica esponenziale, possiamo avere qualche possibilità di destare le meni solo essendo estremamente energici nella comunicazione, specie se le menti continuano a voler rimanere ottuse, se i destinatari sono sordi, fingono di non capire o sono annebbiati da religioni vecchie e nuove (torno sempre a Sartre che osservava che le persone sono in malafede, sanno ma fingono di non sapere).
Io apprezzo molto questo luogo perché dà misure precise.
E il primo rispetto per la realtà è misurarla, una forma tecnica di misurazione.
Avere una buona osservazione della realtà è solo il primo passo, ma senza il primo passo, certamente, non ci può essere neppure il secondo e i successivi.
Il fallimento credo non sia solo comunicativo. Credo si debba anche capire che opporsi a un palazzo di 20 piani in una zona già edificata significa dire si a decine di bifamiliari in campagna.
Altro punto dolente l’agricoltura…
Quanto alla demografia sono il primo a dire che è un problema serio che non si vuole affrontare, ma questo è vero globalmente non certo in Europa che è l’unico continente che vedrà un deciso calo nei prossimi anni, l’immigrazione lo sta solo rallentando ma 120 mln in Italia sono favole.
> 120 mln in Italia sono favole
Dal 1861 al 2011 siamo quasi triplicati, da 22.176M homo a 60.783M homo.
In un solo anno, nel 2013, +1.097.441 homo in italia, ovvero +1.8%.
Dati ufficiali ISTAT http://demo.istat.it/bil2013/index.html.
Dati peraltro sottostimati rispetto alla realtà in quanto esistono masse notevoli di clandestini non registrati.
E’ possibile negare la matematica, la curva 1.018^x o forse anche 1.02^x etc. pur di non affrontare l’evidenza della realtà politicamente scorretta.
Comunque assumiamo pure, prudenzialmente, una crescita del 1.8%.
t P(t) = 60.783 * 1.018^t (in milioni homo)
5 66,454
10 72,654
15 79,433
20 86,844
25 94,946
30 103,804
35 113,489
40 124,078
Cioè tu prendi la crescita stimata di un anno (che non tiene conto di chi lascia l’Italia, credimi io sono a Sydney e mi è impossibile camminare 1km senza sentir parlare italiano) e la moltiplichi per 40. Scientifico!
Come ricordavi in Italia si fanno in media 1.4 figli per donna, il che significa un calo del 30% della popolazione autoctona ogni generazione (a regime). Non vediamo un calo drastico perché andrà tutto a regime tra venti trent’anni. Tutte le stime danno una popolazione lievemente in crescita fino al 2030 e poi in calo, questo vale quasi ovunque in Europa, specie in Europa orientale e Germania dove già sono in calo.
> Scientifico!
Non si tratta di “moltiplicazione” (la formula è espressa chiaramente) e di una grossolana stima prudenziale.
Nelle discussioni al GAS, alcuni gasisti assidui lettori de Il Manifesto mi riportano che le stime dei soli flussi immigratori per l’Italia prevedono 20M homo nei prossimi lustri.
Ah che meraviglia. Più sardine nella scatola!
> Come ricordavi in Italia si fanno in media 1.4 figli per donna
Sì.
Pero il tasso di riproduzione delle donne (di alcune comunità) immigrate è qualcosa tipo il 2.7 figli procapite o qualcosa del genere.
Le ipotesi di una lieve diminuzione dell’aumento demografico (si tratta di diminuzione della derivata seconda, se non fosse chiaro) sono state smentite e riviste drammaticamente in peggio (v. qui ad esempio).
E la salvifica decrescita demografica italiana che avrebbe potuto ridurre il drammatico deficit ecologico già esistente peraltro che ha avuto una violenta crescita proprio in occasione della violenta ripresa della crescita demografica (il primo grafico in questa pagina parla più di mille parole, v. qui il deficit ecologico e di risorse) viene annullata da questo orribile e violento tsunami migratorio.
> mi è impossibile camminare 1km senza sentir parlare italiano
Ecco, chiedere agli aborigeni ai quali inglesi prima e pure italiani poi hanno rubato la terra e massacrato la cultura, sono contenti.
L’enigma della popolazione è, per l’appunto, un enigma. Il saldo naturale italiano è ovviamente calante, lo sappiamo tutti: il flusso migratorio finora ha mantenuto saldi in debole incremento.
Il futuro non è scontato: potremmo essere investiti da una folla di emigranti, ma anche no. Bisogna vedere cosa effettivamente offrirà loro l’Italia. Casomai le cose si mettessero male davvero, vedremmo ampliarsi un fenomeno che in sordina procede da anni: non ci lasciano solo i figli degli italiani, ma anche i figli degli immigrati. Non è uno scherzo, sta succedendo anche questo. Ovviamente se ne vanno giovani intraprendenti e qualificati.
Il futuro della singola nazione rimane impredicibile. Che globalmente siamo troppi è chiaro, ma cosa comporterà precisamente questo a Carpi o a Brema, beh, questo non è affatto ovvio.
> Il futuro non è scontato: potremmo essere investiti da una folla di emigranti, ma anche no
Non capisco perché si usa il tempo futuro e il dubitativo.
+1.8% di popolazione ovvero quasi +1.1M homo (due città, vado a naso, come Torino e Firenze creatasi dal nulla in un solo anno!!) solo nel 2013 è GIA’ un fatto, qui e ora, non è né futuro né dubitativo.
Senza entrare nel merito qualitativo del problema, pure più grave, del mescolamento di culture del tutto incompatibili e mi riferisco in particolare al problema islam (peraltro uno dei fattori di crisi riconosciuto anche da Jorgen Randers nel suo ultimo libro, che lo aveva espresso come raccomandazione di evitare di vivere in paesi in cui ci sia più di una cultura/religione con mire egemoniche).
Peraltro questo problema sta affliggendo anche la Germania e la Baviera (leggere interessante pagina) in cui una saggia politica di severa morigerazione nel consumo di territorio è del tutto incompatibile con la violenta crescita demografica (da immigrazione).
Continuo a non contestare il pericolo di insensate crescite demografiche in un pollaio sovraffollato come l’Europa. Dal mio punto di vista è abbastanza chiaro che dobbiamo fare qualsiasi cosa eccetto crescere, specie di numero.
Per le cifre c’è sempre Istat:
http://www.istat.it/it/popolazione
Dal 2003 al 2013 siamo passati da 57,131 a 59,685 mln (dato consolidato inizio annata). Come dire, da 1 a 1,044704276. Alla radice decima la variazione annuale risulta 1,004382963. Un incremento del + 4,4 per mille annuo. E’ da vedere se effettivamente una oscillazione su una singola annata (il dato 2013 citato nei commenti….) si possa poi protrarre nel tempo o no. Per giudicare questo non basta una manciata di mesi: quelle persone, in mancanza di prospettive, viaggeranno verso altri lidi. E’ e rimane un faccenda complessa.
La parte discutibile della vicenda, più che i pur importanti numeri assoluti, è l’effetto sostitutivo: cacciamo a pedate i figli degli italiani per importare disperati. A tutto comodo di un manipolo di sfruttatori arricchiti, che possono così negoziare al ribasso anche diritti elementari. Bisognerebbe iniziare ogni discorso con queste considerazioni, giacché nel caso italiano la dinamica demografica del “tutto compreso” rischia di dipingere uno scenario fin troppo roseo. Stiamo deportando il nostro residuo futuro, per sostituirlo con gli schiavi delle piantagioni. Pessima idea.
L’aumento demografico mondiale esiste ed è un problema.
l’immigrazione incontrollata da paesi musulmani è un problema.
L’Italia non ha alcun problema di crescita della popolazione ne tantomeno la germania.
non credo siamo aumentati di 1 milione in un anno. Se anche fossero arrivate 1 milione di persone non significa che non se ne siano poi andate, molti son di passaggio.
non si può prendere un solo anno come riferimento.
Quando si parla di demografia, il presente è costituito dall’ultimo dato annuale consolidato. I dati relativi agli ultimi mesi (12 – 24 minimo, ovviamente) vanno presi con le molle; siamo già nel campo delle ipotesi più o meno valide.
L’ultima rottura registrata in Italia si produsse con la Bossi – Fini, quella fantastica leggina scritta dai difensori dell’italianità che in pratica permetteva di regolarizzare una massa di clandestini in cambio di una tassa. Mi ricordo bene le file interminabili degli stranieri con i documenti: in pratica si trattò di una mascherata ed astuta reazione al poco commentato stallo demografico del periodo 2000 – 2001. Ancora gli italiani perseguivano la crescita, e mi fa sorridere il fatto che l’operazione sia stata condotta da forze che si autoproclamavano xenofobe aprendo la frontiera a clandestini d’ogni nazionalità.
Ancora una volta, sarà l’atteggiamento più o meno accomodante o malfidente del legislatore a decidere il destino degli ultimi arrivi: bastano un paio di circolari per farli evaporare, ma non è scontato che ci sia la volontà di scriverle. Di sicuro, lo ribadisco, c’è la ferma volontà di deportare i figli degli italiani. La tratta dei giovani emigranti senza presente né futuro continua nell’indifferenza generale; un paese che odia e calpesta i propri figli non ha alcun futuro.