FAO food price index: tanta agricoltura, pochi soldi

Indice dei prezzi agroalimentari: la FAO censisce e pubblica da molto tempo serie storiche riguardo ai prodotti di più largo impiego. Il FAO food price index è un buon metro delle difficoltà contingenti a cui è esposto chi produce e lavora il cibo e chi invece cerca di mangiarselo. La costruzione di un indice globale come questo è una cosa complicata: bisogna creare indici dei prezzi separati per vari gruppi di prodotti, e quindi metterli assieme valutandone il peso effettivo. A rendere più difficile l’esercizio provvedono le distorsioni temporali: variano le importanze relative dei componenti, e variano gli effetti inflazionistici. Prendiamo per buoni l’indice globale nominale e le sue componenti così come ce le calcola la FAO, senza troppo questionare. Per chi vuole, è comunque possibile approfondire le considerazioni circa gli indici dei prezzi; ovviamente anche la stessa FAO fornisce approfondimenti sui metodi di analisi.

FAO food price index 1990 2016, oils meat cereals dairy sugar, indice prezzi cibo FAO, oli e grassi carne cereali latticini zuccheroFAO food price index, componenti; 2002 – 2004 = 100%. Fonte: FAO.

Un indice dei prezzi, in questo specifico caso prezzi nominali non corretti su base inflazionistica. Il periodo di riferimento è costituito dai 36 mesi dell’intervallo gennaio 2002 – dicembre 2004. Saranno anche prezzi nominali, ma qualcosa raccontano: soprattutto se pensiamo che l’inflazione per le più importanti valute di riferimento nel complesso è stata abbastanza bassa negli ultimi vent’anni. Dopo il periodo di relativa calma degli anni ’90, i prezzi iniziano a muoversi in maniera nervosa: le terribili fiammate del 2008 e successive annate le conosciamo bene. Si noti la relativa stabilità del costo delle carni, giustificata dalla complessità della filiera produttiva e dal gran numero di componenti che assorbe; a confronto con la tremenda volatilità che affligge lo zucchero. In termini nominali, i prezzi nell’agroalimentare sono andati incontro a qualcosa di vicino ad un raddoppio; condito da forte volatilità.

FAO food price index 1990 2016, oils meat cereals dairy, indice prezzi alimentari FAO, oli e grassi carne cereali latticiniFAO food price index, oli, carne, cereali, latticini; 2002 – 2004 = 100%. Fonte: FAO.

La vicenda si legge un po meglio levando di torno per l’appunto lo zucchero, che tra l’altro in termini di spesa complessiva non è nemmeno un attore di primo piano. L’indice globale ovviamente tende a seguire i termini da cui deriva: una media ponderata delle commodities agroalimentari più importanti e diffuse. Relativa stabilità delle carni, relativa volatilità di tutto il resto. I picchi del 2008 e del 2011 sono stati discussi un po ovunque, anche come motore di proteste e rivolte nei paesi più poveri: il fenomeno è stato studiato a livello accademico. Correlare eventi politici ad indici di prezzi è suggestivo ma azzardato, vista la complessità dei passaggi coinvolti. Restano i fatti: c’è una coincidenza temporale abbastanza ovvia tra rivolte di piazza nei paesi poveri e prezzo delle derrate alimentari, e forse questa si può considerare come un’ovvietà. Teniamo a mente anche questo: i poveri mangiano poca carne e molta farina. Questo li espone in maniera terribile ai picchi di prezzo che vedete nei grafici, molto pronunciati proprio per i prodotti vegetali ed i latticini. Indiscutibilmente comunque staremmo osservando una storia di recente e discontinuo rincaro dei prezzi, con negativi effetti sociali ed economici.

Indiscutibilmente? Forse no, e per capire la situazione dobbiamo pensare a come funziona l’agricoltura. Un agricoltore vero per fare il proprio lavoro impiega mezzi – azionati dal gasolio – i cui costi sono legati essenzialmente ai prezzi alla produzione dell’industria. Che dipendono dalla quotazione degli energetici, dominati dal petrolio. Poi ci sono i trasporti, e chi lavora nei campi sa bene di che parliamo: ultimo miglio, camion, ancora gasolio, ancora costo degli automezzi. Ad un agricoltore, o ad una industria conserviera o molitoria, non interessa affatto sapere di quanto si siano spostati in su o in giù i prezzi nominali delle derrate alimentari. Nemmeno interessa sapere quali siano stati i movimenti di prezzo corretti su base inflazionistica. Quel che interessa è tutt’altro: vendendo 1000 kg di mais o di burro, quanto gasolio potrò comprare per coprire i consumi operativi della mia azienda? E’ il carburante la vera valuta di riferimento, fa capolino ovunque. Se in 24 mesi i cereali raddoppiano e il gasolio quadruplica, sono fottuto. Se negli stessi 24 mesi i cereali si deprezzano di 1/4 ed il gasolio dimezza il suo prezzo, allora posso respirare bene.

FAO food price index 1990 2016, crude oil price brent wti fuel index, indice prezzi agricoltura FAO, indice prezzi petrolio greggio carburanti gasolio, ratio, rapportoFAO food price index, prezzo del petrolio, rapporto. Fonte: FAO, IndexMundi.

E qui arrivano le note dolenti, almeno per chi lavora nei campi: il potere d’acquisto relativo spuntato dalla produzione agricola è sostanzialmente crollato al passaggio di millennio. Mettiamo a confronto l’indice dei prezzi fornito da FAO con un indice avente struttura comparabile, e che rappresenti la variazione dei prezzi nominali del petrolio in riferimento al medesimo periodo base 2002 – 2004. Il secondo indice è più rozzo del primo, ma considerata la scarsa pressione inflazionistica media e la limitata estensione nel tempo può comunque identificare i cambiamenti importanti. Riassumiamo velocemente l’accaduto: dopo il ’99 – ’00, il petrolio decollava mentre il valore attribuito alla produzione agricola scivolava in basso. Prima di questa trasformazione, il rapporto tra i due indici oscillava attorno ad un certo campo di valori; successivamente si è posizionato a livelli che sono meno della metà, e da lì non si è mosso per quasi tre lustri. Riassumiamo ancora: il grano non compra più niente, e gli agricoltori europei devono chiudere bottega.

L’evento che osserviamo nei grafici è improvviso e decisivo. Da qualche parte evidentemente origina. Tra le molte ipotesi possibili, mi permetto di propinarvene una legata all’abbattimento delle barriere commerciali in sede WTO. Nella descrizione fornita dalla medesima Organizzazione “… more than 30% of agricultural produce had faced quotas or import restrictions. The first step in “tariffication” was to replace these restrictions with tariffs that represented about the same level of protection. Then, over six years from 1995-2000, these tariffs were gradually reduced  …”. Addio dazi, e siamo stati sommersi di prodotti che provengono o da colture estensive americane o da piantagioni africane piene di schiavi. In Europa quasi nessun agricoltore dispone di campicelli lunghi 3 km; e a parte la mafia nemmeno di schiavi. A questo fenomeno si sono sovrapposte tendenze globali ben note, tra cui incrementi di produzione e scomparsa di sussidi e/o di operazioni di ritiro delle produzioni eccedenti. Per i prezzi il destino era crollare, e questo hanno fatto.

Il rovescio della medaglia però esiste: la perdita di valore relativo della produzione agricola rispetto ai prodotti energetici / industriali rappresenta a tutti gli effetti un considerevole “guadagno di efficienza”. In pratica, a livello globale, stiamo ottenendo oggi molto più cibo impiegando meno mezzi e meno carburanti – in caso contrario non avremmo certo potuto osservare simili andamenti nei rapporti tra gli indici di prezzo. Un vantaggio transitorio e pieno di effetti collaterali ben noti, di solito classificati sotto l’etichetta poco lusinghiera di “economia di rapina”, ma comunque un vantaggio rilevante. Le rivolte degli affamati? Parliamo di persone che vivono ai margini del sistema e che hanno un potere d’acquisto limitatissimo. Non c’è efficienza che possa alleviarne le sofferenze, e comunque soffrono prima il caro carburante del caro pagnotta. Negli ultimi due anni abbiamo registrato una leggera ripresa della forza relativa dei prezzi dell’agroalimentare; potrebbe anche essere l’inizio di un nuovo cambiamento importante, chissà. Nel mentre, almeno per un po, continueremo a goderci il mondo che abbiamo costruito.

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3 risposte a FAO food price index: tanta agricoltura, pochi soldi

  1. Ijk_ijk ha detto:

    1_Non capisco l’asse del tempo nei 3 grafici. Sembra andare dall’anno 90 al 2016, pero dici che son riferiti solo a 2 anni.
    2_ cosa è il ‘ratio’ nel 2 grafico?

  2. fausto ha detto:

    L’intervallo è effettivamente 1990 – 2016. Le “annate di riferimento” scelte dalla FAO sono 2002, 2003, 2004: la media dei prezzi nominali in quell’intervallo di tempo è stata scelta come riferimento e posta pari a 100%.

    Per il valore “ratio”: rapporto puro e semplice tra i due indici (dei prezzi nominali). In effetti ci sarebbe voluta qualche chiosa in più.

  3. Ijk_ijk ha detto:

    Riguardo al supposto aumento dell’efficenza del settore agricolo, che è sicuramente vero e dimostrato dai numeri perché le pratiche ‘occidentali’ si sono diffuse in tutto il mondo dall’est Europa all’Asia, ma esiste anche una componente legata allo sfruttamento di nuove terre, africane in particolare, condotte da subito con i sistemi piu moderni? Voglio dire, non è solo che siamo diventati piu bravi a coltivare, ma è che soprattutto stiamo coltivando di piu dove, come dici tu, ci sono grandi estensioni e/oi schiavi? Non ho numeri per sostenerlo, ma quando vedo il prezzo delle banane o della pasta mi chiedo come tutto ciò sia possibile.

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