Come va sul fronte inquinamento in Emilia Romagna, specialmente in tema di particolato atmosferico? Ogni tanto se ne discute, e non si tratta di discussioni rilassate: negli ultimi anni ci siamo trovati spesso a fare lo slalom tra limitazioni al traffico, limitazioni agli impianti di riscaldamento, ordinanze contro i fuochi all’aperto e litigi tra automobilisti ed amministratori locali. Di solito, se c’è un problema grave e diffuso gli esseri umani cercano di trovare qualcuno a cui affibbiarne la responsabilità. L’inquinamento atmosferico non fa eccezione: se è colpa di qualcuno, sicuramente si tratta del vicino di casa. Prima di discutere di responsabilità domandiamoci di cosa parliamo e verifichiamo le quantità in gioco: la banca dati del caso è costituita essenzialmente dalle centraline operata da Arpa. In particolare per il materiale che noi profani definiamo come “polveri sottili”: le particelle che rimangono sospese nell’aria in virtù delle modeste dimensioni. Estraendo i dati del caso da una centralina avente un’attività temporalmente estesa, possiamo confezionare un grafico che raffigura l’evoluzione del fenomeno: in questo caso il noto PM10, particolato atmosferico avente diametro inferiore ai 10 micron.
Polveri sottili a Bologna San Felice. Fonte: Arpae.
Il punto di misura scelto è il bolognese Porta San Felice, al margine occidentale dei viali cittadini che costeggiano il centro storico. I valori disegnati sopra sono per l’appunto quelli di particolato misurati da questa centralina. Sarebbe stato interessante discutere anche la frazioni finissime, PM2.5, ma i dati sono più discontinui. Dunque, concentrazioni di PM10 in microgrammi per metro cubo rilevate giornalmente. I valori sono estremamente variabili, da quasi zero fino a ben oltre 200 μg / mc. I valori tipici sono compresi in un range più limitato: nella stagione estiva, 20 – 30 μg / mc; in inverno 40 – 80 μg / mc. Gli effetti sulla salute di questi materiali sono studiati da tempo: niente di buono, secondo ISS. Ci sono almeno due cose che balzano all’occhio osservando la prima immagine. Le concentrazioni medie di polveri sono diminuite abbastanza linearmente a Bologna negli ultimi anni: la semplice regressione lineare in rosso evidenzia l’andamento. La stagionalità del fenomeno è evidente, l’aria è più inquinata in inverno; ma comunque l’inquinamento da polveri esiste anche in estate, e non è affatto trascurabile. Nel complesso il particolato presente in estate è grossomodo la metà di quello registrato nei mesi freddi.
Polveri sottili a Bologna San Felice, anno 2017. Fonte: Arpae.
Prendendo in esame un dettaglio della serie di dati per la medesima centralina di Porta San Felice, possiamo tentare qualche confronto con l’andamento delle temperature medie giornaliere. Molti amministratori locali in Emilia emanano ordinanze contro gli impianti di riscaldamento, intendendo implicitamente che questi siano emettitori fondamentali di particolato inquinante: se hanno ragione, allora sarà il freddo dell’inverno a guidare il fenomeno. Per il 2017, nella seconda figura, alcuni valori particolarmente elevati sono stati lasciati fuori scala a gennaio. Difetti a parte, l’immagine riesce a mostrare una maggiore presenza di polveri fini nell’aria durante la stagione fredda. Questo almeno superficialmente. Se guardiamo bene, possiamo notare alcuni dettagli sospetti. L’estrema volatilità dei valori giornalieri, specialmente tra ottobre – dicembre 2017. Le variazioni sono rapide, con crolli che portano le concentrazioni perfino al di sotto dei tipici valori estivi. Niente da spartire con le temperature medie giornaliere, che variano molto più gradatamente. Bizzarra anche la situazione a fine gennaio: con concentrazioni giunte a superare i 200 μg / mc, durante giornate non particolarmente fredde. Da confrontare con le giornate di inizio gennaio, che pur segnando la minima temperatura dell’annata hanno anche registrato livelli di inquinamento più modesti, talora vicini a quelli estivi.
Polveri sottili a Bologna San Felice, anno 2018. Fonte: Arpae.
Per il 2018 medesima restituzione grafica, nella terza immagine. Anche qui, temperature giornaliere e concentrazioni di PM10 giornaliere a confronto. E anche qui naturalmente abbiamo inquinamenti più evidenti nei mesi freddi, ad avvalorare l’utilità della crociata contro le stufe a legna o a pellet che abbiamo visto inscenare anche questo inverno sui notiziari locali. La relazione, apparentemente sensata, è comunque affetta da una volatilità dei dati elevatissima: ciclicamente, nell’arco dell’inverno, le concentrazioni di polveri sottili crollano a livelli che sarebbe difficile sperare di rilevare in piena estate. La situazione forse più strana è quella prodottasi nel periodo 11 – 20 ottobre 2018: l’inquinamento da polveri misurato era già attorno ai tipici valori invernali di 40 – 50 μg / mc, ma le temperature erano talmente elevate da poter tranquillamente escludere qualsiasi contributo da parte degli impianti di riscaldamento. Altrettanto sospetto il crollo nelle concentrazioni di inquinanti verificatosi dopo il 16 novembre, in coincidenza con un rapido abbassamento delle temperature. I riscaldamenti prendevano a funzionare a pieno regime, ma gli inquinanti, sorprendentemente abbondanti in partenza, scomparivano inspiegabilmente.
Inutile insistere. Sarebbe possibile, per qualsiasi centralina indagata, scovare un enorme numero di incongruenze di questo genere. Ognuno di noi può divertirsi a tentare l’analisi per il sensore più prossimo alla propria residenza. L’idea di correlare le concentrazioni di inquinanti atmosferici al mero andamento delle temperature può sembrare buona ad una occhiata superficiale, ma non regge un momento se scorriamo con attenzione le serie dati disponibili. Forse la vulgata tanto in voga tra i nostri assessori, che piazza impianti di riscaldamento e caminetti tra i maggiori responsabili dell’inquinamento dell’aria, non rispecchia così bene la realtà misurabile sul terreno. Il tutto ovviamente senza voler dimenticare quella sistematica presenza di inquinanti che si registra nel pieno dell’estate, praticamente ovunque nella Pianura Padana. Strano anche il trend di continua discesa dei valori invernali rilevato negli ultimi anni, ben evidente nella prima immagine: al diffondesi degli impianti di riscaldamento azionati a legna e pellet, le vituperate polveri prendevano a calare. Una evoluzione inspiegabile, stando alle tesi esposte quotidianamente dai media locali. Varrà la pena cercare di verificare gli effetti di altri attori in tutta questa vicenda di polveri sottili: propongo come candidato rilevante l’andamento meteo climatico. Magari qualcosa dice anch’esso.
Molto interessante la tua analisi oggettiva dei dati inquinati di “immissione”, cioè di quelli inalabili dalla popolazione che le centraline Arpa rilevano, mentre le azioni di limitazione messe in campo dalle amministrazioni sono orientate alle sorgenti di “emissione”, siano esse scarichi delle auto,piuttosto che camini di caldaie o stufe domestico o ancora ciminiere più o meno elevate di zone artigianali ed industriali. E’ evidente che il ruolo della situazione meteo e della climatologia dei luoghi recita un ruolo fondamentale in quella che i fisici dell’atmosfera chiamano anche “diffusività atmosferica”, cioè dell’attitudine più o meno elevata da parte dell’atmosfera alla diluizione degli inquinanti. Tale parametro viene elaborato da un insieme di dati meteo elementari ben più ampi della sola temperatura la suolo, come direzione e velocità del vento, umidità del’aria, precipitazioni, variazione della temperatura dell’aria con la quota. Proprio quest’ultimo dato meteorologico può determinare, quando la temperatura dell’aria invece di diminuire al crescere della quota aumenta, uno dei fenomeni più pericolosi come la “nebbia” che confina al suolo gran parte degli inquinanti emessi dalle sorgenti che divengono quasi completamente immissioni misurate delle centraline. Guarda caso,in particolare nel distretto padano la stagione elettiva delle nebbie è proprio quella autunnale ed inizio invernale. Questo ovviamente può essere solo una parte di spiegazione di un fenomeno complesso come quello da te citato che comunque vede il ruolo determinate della dinamica dell’atmosfera e quindi dell’insieme dei parametri meteorologici nella maggiore o minore diluizione degli inquinanti
Mi sono divertito, come dici, a graficare l’andamento delle pm 10 della centralina piu vicina a casa mia a Ravenna e l’andamento è molto piu piatto di quella del post. La verità è che siamo culturalmente impreparati, o almeno io lo sono, a trovare cause e concause verificabili di questo inquinamento. E lo sono sicuramente anche i pubblici amministratori che prendono i provvedimenti a riguardo.
Però una cosa è certa: se mi metto ai bordi di una strada trafficata l’inquinamento dell’aria è “palpabile”. Non sono solo gli scarichi dei diesel ma anche il pulviscolo sollevato dall’asfalto e i gas che attaccano le vie respiratorie.
Ma sono mai stati fatti studi in regione sulla qualità delle Pm10 o PM2.5? E’ corretto farne solo una questione quantitativa?
Certo che non ne deve essere fatta solo una questione quantitativa. Pensa che fino alla metà degli anni ’90 venivano misurate solo le polveri totali. Ho molti post del mio blog che parlano del tema come questo https://figliodellafantasia.wordpress.com/2013/11/14/particolato-polveri-sottili-pm10-pm25-killer-in-evoluzione-con-grandi-indizi-sugli-edifici-terziario-e-residenziale/ .
relativamente poi al fenomeno della risospensione dei particolati legato al traffico veicolare, una percentuale rilevante di questi sono dovuto alla usura delle pastiglie dei freni (si parla addirittura sino al 30% del totale del comparto traffico). Sarebbe quindi importante, come già implementati in alcuni veicoli elettrici, passare a sistemi frenanti di tipo elettromagnetico o comunque che non presuppongano il frizionamento tra materiali
Grazie dei commenti. Sarebbe infinita la quantità di osservazioni possibili su un tema come questo. L’unica cosa che mi disturba davvero è l’abitudine dei nostri politici di cercare un qualche facile capro espiatorio. Dopo decenni di targhe alterne e crociate contro le stufe abbiamo concluso ben poco.
Proprio così, le targhe alterne sono il teipidissimo pannicello che cercano di mettere sulla cosienza di una politica che da troppi anni non vuole affrontare strutturalmente un problema così complesso ed articolato.