Consumo di suolo: sostituire lo strato superficiale di terreno, quello che ospita forme di vita ed ecosistemi, con coperture impermeabili artificiali. E’ una questione di fede religiosa: ogni anno, in questo sfortunato Paese, qualche chilometro quadrato di buona terra si trasforma in una landa desolata e sterile. Non importa a nessuno del fatto che la popolazione italiana sia in stallo, o che le nostre inutili attività edificatorie producano montagne di debiti che non saremo mai in grado di ripagare; o nemmeno che le periferie delle nostre città siano infestate di edifici semivuoti. Vada come vada, ogni anno verseremo per ogni dove la nostra generosa misura di cemento e catrame. La cementificazione è questo: una credenza religiosa, una superstizione, un culto pagano. L’idea secondo cui l’incessante espansione di queste croste impermeabili possa rappresentare una qualche forma di progresso è talmente avulsa dalla realtà da non poter essere classificata altrimenti.
I dati più aggiornati secondo ISPRA, nel recente rapporto 2019. Tra il 2017 ed il 2018, le coperture impermeabili in Italia si sono ampliate per più di 48 kmq – intesi come variazione netta effettiva. In appena 12 mesi è apparsa una nuova città, come Bari o come Firenze, e nessuno pare essersene accorto. In realtà il ritmo a cui avviene questa trasformazione rallenta da qualche anno: alla punta massima raggiunta nei primi anni duemila, eravamo stati capaci di divorare qualcosa come più di 240 kmq di territorio in una sola annata. Se si trattasse di un unico agglomerato urbano, staremmo parlando del secondo comune italiano dopo Roma, apparso dal nulla in dodici mesi. Qualcuno di voi ne ha mai sentito parlare al telegiornale? No? E dire che una nuova città di queste dimensioni dovrebbe essere una notizia da prima pagina – nemmeno al tempo dei faraoni qualcosa di simile era stato costruito tanto in fretta. Nessuno vi ha raccontato nulla al riguardo? Vista l’enormità dell’accaduto, solo la più fanatica fede religiosa può spiegare un simile silenzio.
Suolo consumato percentuale totale, variazioni annue ’17 – ’18. Fonte: ISPRA.
I dati disponibili nell’ultimo rapporto ISPRA sono parecchi. La grafica in alto rende conto delle posizioni delle varie Regioni, assai diversificate. Semplicemente ridicola la situazione di territori quali Veneto e Lombardia, al vertice della classifica di incidenza delle coperture impermeabili: la fascia pedecollinare lombarda e veneta è sovente dominata dalle coperture artificiali. Performance considerevole anche per Campania ed Emilia Romagna. La ricchezza finanziaria relativa delle varie realtà considerate non sembra un parametro dirimente: i trentini sono sicuramente più ricchi dei pugliesi, ma questi ultimi hanno prodotto quantità proporzionalmente molto superiori di superfici artificiali. Forse il cemento in sé non costa moltissimo; i danni di lungo termine che produrrà sono un’altra storia. Una questione differente è l’incidenza pro capite: i residenti su cui gravano le maggiori quantità di superfici artificiali si trovano nei comuni delle aree montane. Si tratta di comuni poveri e spopolati, nei quali modeste superfici urbanizzate incidono su un piccolissimo numero di persone: è facile immaginare quindi che i grandi agglomerati urbani, in virtù della smodata densità di popolazione, siano in un certo qual modo più efficienti in termini di impiego del suolo. Se dieci persone si dividono la medesima crosta di asfalto, l’incidenza del fenomeno diminuisce proporzionalmente.
Suolo consumato per comune a tutto il 2018, percentuale. Grafica: ISPRA.
La seconda grafica, direttamente dal Rapporto ISPRA, ci permette di intuire subito la fallacia di questo modo di ragionare. Le percentuali assolute al 2018 di suolo consumato, esposte a livello comunale, sono ovviamente massime proprio nelle grandi aree urbane. I residenti di un comune come Milano se la cavano effettivamente con meno di 200 mq per capita di superfici impermeabili; ma questo solo perché sono tanti. La città di Milano – ed il suo hinterland – sono comunque costituite essenzialmente da superfici impermeabili. In caso di eventi meteo importanti, è quasi certo che si producano allagamenti ed esondazioni a carico della rete scolante locale. Il fatto di disporre di una popolazione enorme ammassata in uno spazio modesto non risolve nulla; contribuisce però ad aumentare a dismisura i rischi, in virtù della presenza di un gran numero di persone e di strutture esposte a questi fenomeni. I piccoli e spopolati comuni delle aree collinari e montane, caratterizzati da incidenze del suolo impermeabile spesso superiori a 650 mq per capita, si trovano a vivere situazioni decisamente migliori: la reale incidenza delle superfici artificiali sull’estensione del territorio è modesta, e risultano quasi assenti i rischi connessi ai terribili flash flood urbani che tanto impensieriscono gli amministratori romani o milanesi. Efficienza e sicurezza non vanno quasi mai d’accordo, e il consumo del suolo non fa eccezione.
Deflusso superficiale per la media delle precipitazioni 2012 – 2016, millimetri annui. Grafica: ISPRA
E quindi le reti scolanti, e le inondazioni: possiamo chiederci quanta acqua debba smaltire il nostro territorio tramite il reticolo di fiumi e canali. La terza immagine, sempre opera di ISPRA, provvede a stimare il deflusso superficiale annuo per l’Italia. I valori riportati sono in millimetri, l’altezza della lama di acqua che deve essere smaltita ogni anno in superficie. Come intuibile, sono le aree montate a sviluppare il ruscellamento di superficie più importante: alle quote maggiori piove di più. Meno ovvio è il comportamento delle città, ad esempio quelle emiliane: le potete riconoscere facilmente, essendo ben allineate lungo il tracciato della via Emilia. Sulla carta hanno colore simile ai crinali montani: spesso generano deflussi superficiali superiori ai 450 mm/anno, laddove le pianure agricole circostanti non riescono nemmeno a raggiungere i 150 mm/anno. Sublime potenza del cemento e dell’asfalto: basta prendere un campo coltivato, trasformarlo in un parcheggio, e come per magia la rete scolante si troverà a dover smaltire volumi d’acqua triplicati o quadruplicati. Intuibili le conseguenze: inondazioni più frequenti e più distruttive. Secondo ISPRA, nel periodo 2012 – 2018 le nuove cementificazioni hanno generato perdite di flussi di “servizi ecosistemici” per un danno annuo equivalente a circa 2,5 miliardi di euro. Le voci coinvolte sono parecchie – si veda il Rapporto, Tab 64 – ma la parte del leone spetta alla “Regolazione del regime idrologico”, capace di nuovi danni aggiuntivi per circa due miliardi di euro all’anno. Qualcuno cementifica e guadagna, mentre tutti gli altri finiranno sott’acqua e pagheranno danni, manutenzioni ed interventi; il casinò della speculazione edilizia produce pochi vincitori oggi, e tanti perdenti domani.
Volendo pensare in maniera più precisa al perverso rapporto esistente tra impermeabilizzazione del suolo e ruscellamento superficiale, proviamo a chiederci: quanta nuova portata devono sopportare i corsi d’acqua, in Emilia Romagna ad esempio, a causa delle trasformazioni del suolo? Nella mia Regione, stando al rapporto “Il consumo di suolo in Italia – Edizione 2014“, negli anni ‘50 le superfici antropiche rappresentavano all’incirca il 1,7-3,2% del totale; a tutto il 2018 siamo passati al 9,62%. In sei decenni, possiamo immaginare di avere cementificato più del 7% della superficie regionale; non meno di 157.000 ettari di nuove coperture impermeabili. Se immaginiamo – basandoci sulle stime fornite da ISPRA con la terza immagine – che nell’arco dell’annata questo mutamento porti almeno 250 – 300 mm di pioggia in più nella rete scolante, ci ritroviamo a dover gestire nuovi deflussi superficiali equivalenti a circa 390 – 470 milioni di metri cubi d’acqua. Si badi bene: si tratta di due sottostime, più o meno generose. Non è un grosso problema, fin quando si parla di temporali estivi; il problema diventa grave in autunno, e in effetti l’esercizio che dovremmo svolgere è proprio questo: stimare gli effetti della progressiva impermeabilizzazione del suolo durante un evento meteo importante in autunno o in inverno.
Fra tutti gli esempi possibili, perché non utilizzare le recenti inondazioni verificatesi in Emilia Romagna? Nelle giornate comprese tra il 15 ed il 19 novembre 2019, intense precipitazioni hanno ingrossato fiumi e canali in tutta la Regione; gli effetti più gravi si sono riscontrati nelle pianure a nord di Bologna e nei dintorni di Finale Emilia, con cedimenti di argini ed allagamenti. Stando al Rapporto ARPA dedicato, fig. 17, la media pianura bolognese e modenese ha ricevuto precipitazioni comprese tra 125 – 150 mm complessivi. Mettiamo che, nel complesso, l’evento meteo che dobbiamo affrontare porti quindi 137,5 mm di pioggia – generosa sottostima, possiamo dover affrontare di peggio. In una provincia come Modena, 2.688 kmq, negli ultimi sei decenni le superfici trasformate in nuove croste impermeabili ricoprono più del 9% del territorio – i modenesi si sono dati un gran daffare. Oltre 240 kmq. Immaginando che l’eccesso di ruscellamento superficiale così generato equivalga a circa 1/2 – 2/3 dell’apporto di pioggia del momento, dovremo smaltire più o meno (1/2) x (137,5 / 1000) x 240 = 16,5 oppure (2/3) x (137,5 / 1000) x 240 = 22, circa 16,5 – 22 milioni di metri cubi d’acqua in eccesso sul territorio provinciale. Per un singolo evento, e neanche il peggiore che possiamo aspettarci.
I modenesi hanno costruito opere finalizzate al contenimento delle piene dei fiumi, Secchia e Panaro, dopo le celebri e distruttive inondazioni degli anni ‘70. Queste strutture, chiamate volgarmente casse di espansione, avevano capacità iniziali di 15 – 16 milioni di metri cubi ciascuna; si veda al riguardo la cronistoria sintetica pubblicata dal notiziario SulPanaro.net. Dopo i lavori svolti negli anni ‘80 e ‘90, la capacità di invaso utile della cassa impostata lungo il corso del fiume Panaro è aumentata a circa 25 milioni di metri cubi. Nel caso del fiume Secchia, dai 16 milioni del progetto orinale si passerà a circa 20; i lavori sono stati finanziati nel 2015, e pare che stiano entrando nel vivo proprio in questi mesi. Ai lettori più attenti non sarà sfuggito un dettaglio interessante: la sola cementificazione del territorio modenese, anche a fronte di eventi meteo sopportabili, ha generato nuove portate di piena che cominciano a rivaleggiare con i volumi di invaso di una grande opera idraulica. Se consideriamo che questi corsi d’acqua drenano bacini idrografici in parte esterni alla provincia di Modena, e se teniamo a mente che prima o poi dovremo avere a che fare con un evento meteo ben più importante di quelli che abbiamo visto negli ultimi anni, allora sorge un dubbio: ma non sarà per caso che l’intero sistema di opere che abbiamo realizzato per tenere a bada le piene dei fiumi sia destinato ad essere reso vano dall’espandersi delle coperture impermeabili? Cosa stiamo combinando? Come ci è venuto in mente di fare una cosa simile? Soprattutto, qualcuno si rende conto di cosa sta per accadere?
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La ringrazio.