Ultime notizie: stop a passeggiate nei parchi e gite in bicicletta, niente uscite serali, chiusura parziale delle attività di somministrazione pasti. E altre restrizioni ancora, sui trasporti, sulle attività lavorative e via dicendo. La situazione sta degenerando, siamo sopra i 5.000 morti causati dall’epidemia di covid-19; sarà pur vero che il problema ora affligge per intero Europa e Nord America, ma questo non risolve nulla qui in Italia. Noi continuiamo ad ammalarci e a morire, purtroppo. E purtroppo, anche in questo drammatico frangente, insistiamo a comportarci come sempre: quasi nessuno di noi è disposto a rinunciare a qualcuna delle proprie pessime abitudini. Ogni crisi, sanitaria, energetica, militare, ambientale o di qualsiasi altro tipo, trae origine e si aggrava proprio da questo atteggiamento: insistere a fare cose sbagliate, che non funzionano più, o che addirittura si sono rivelate dannose; per forza dell’abitudine, che è un qualcosa di potentissimo, radicato nella mente umana. Anche nella mia.
Dite di no? Vi risulta per caso che i boscaioli del nostro Appennino si siano posti il problema di tutelare le foreste? Ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, l’Appennino emiliano era devastato: la carenza di carbone fossile britannico aveva indotto i miei imprudenti antenati a trasformare ogni arbusto in carbonella. Le inondazioni prodotte da quella miserabile palla di fango e pietre ci perseguitarono per almeno trent’anni; e la popolazione fuggì da una terra ormai sterile ed inutile. Vi ricordate i sovietici, negli anni ’80? Era giunta l’ora di cambiare atteggiamento, di trasformare un po il sistema. Ma non ne volevano sentire, nessuno era disposto a cambiare rotta. Sappiamo bene com’è finita: un disastro di proporzioni epiche. Petrolio deprezzato che non pagava più le importazioni, industrie in panne, agricoltura incapace di funzionare. E dire che sarebbe bastato poco per mitigare il danno. Gli esseri umani, specialmente quelli che amano definirsi “classe dirigente”, non apprezzano i cambiamenti. Di solito cercano di impedirli, di posporli; venendone infine travolti.
E così, nell’Italia del coronavirus, siamo tutti – teoricamente – chiusi in casa ad attendere che qualche santo in paradiso ci liberi da questa moderna pestilenza. E possiamo leggere. Venendo a sapere – ad esempio tra gli altri tramite il pezzo di greenreport – che forse l’aria pestilenziale che respiriamo nelle città del nord Italia ha dato una grossa mano a diffondere il contagio del momento. In un certo qual modo potrebbe anche essere un’ovvietà: si parla da almeno vent’anni della baraonda di malattie respiratorie causate in inverno dall’aria inquinata, il tema è noto anche ai sassi. Il rapporto tra particolato atmosferico e malattie virali però è qualcosa di più sottile e perverso. L’articolo recente che ha indotto la discussione proviene dalla Società Italiana di Medicina Ambientale; si tratta di un position paper pubblicato dalla stessa SIMA, a cui hanno contribuito ricercatori di varie istituzioni universitarie italiane. La tesi di fondo è più articolata di quanto si possa pensare ad una prima lettura; e in realtà esiste una discreta bibliografia attorno all’argomento, centrata soprattutto attorno alle epidemie osservate in Asia negli ultimi due decenni – un argomento poco noto altrove.
Inquinamento atmosferico da PM10 e contagio da Covid-19. Grafica: SIMA.
In una immagine semplice e diretta, ricavata dal rapporto SIMA, possiamo capire immediatamente quali siano i sospetti dei ricercatori. I territori più inquinati sono rappresentati, sulla sinistra, con i colori più carichi. Siamo alle solite: la Pianura Padana è ricca di particolato atmosferico in inverno. Dalle mie parti il PM10 non manca mai. Sulla destra, nei quattro riquadri più piccoli, osserviamo la diffusione della malattia da covid-19 nel periodo 3-6 marzo; diffusione intesa come progressione dei contagi accertati tramite analisi di laboratorio. C’è poco da raccontare: laddove abbiamo avuto tanto inquinamento, ci ritroviamo con tanti contagi. Volendo fare qualche critica ad una simile tesi, potremmo anche ragionare sul fatto che esistano altri parametri correlabili all’espandersi dell’epidemia. La mobilità delle persone: le aree più inquinate sono anche le più ricche; così può essere che la malattia la portino in giro aerei ed autostrade, o treni a lungo raggio. Il fatto che l’area più colpita sia allo stesso tempo la più ricca, la più dotata di mobilità e la più inquinata del Paese quindi indurrebbe un inganno interessante.
Questa critica però presenta a sua volta falle importanti: a Roma e a Napoli non abbiamo forse treni, autostrade ed aeroporti? Certo che ci sono. E hanno operato esattamente come a Bergamo o a Piacenza: hanno portato in giro persone da grandi distanze, creando le condizioni per espandere il contagio. Il fatto che il territorio circostante sia più povero non fa differenza. Se pensiamo alla sola mobilità delle persone, è totalmente privo di logica che la malattia da coronavirus abbia devastato paesini delle campagne lombarde ed emiliane ed abbia in certo qual modo risparmiato agglomerati urbani giganteschi come le città maggiori del centro e sud Italia. Non è logico, non ha alcun senso. A meno di tornare alla tesi esposta da SIMA: l’inquinamento atmosferico spiegherebbe subito le differenze registrate tra nord e centro sud dell’Italia. Quello che manca, nella grafica del rapporto, è la percezione temporale: espone una mera relazione spaziale, geografica. Questa cosa costituisce una debolezza a cui occorre rispondere.
E la risposta arriva subito, sempre dallo stesso testo: “…Considerando il tempo di latenza con cui viene diagnosticata l’infezione da COVID-19 mediamente di 14 giorni, allora significa che la fase virulenta del virus, che stiamo monitorando dal 24 febbraio …. al 15 Marzo, si può posizionare intorno al periodo tra il 6 febbraio e il 25 febbraio…”. E ancora: “… Le curve di espansione dell’infezione nelle regioni presentano andamenti perfettamente compatibili con i modelli epidemici, tipici di una trasmissione persona – persona, per le regioni del sud Italia mentre mostrano accelerazioni anomale proprio per quelle ubicate in Pianura Padana in cui i focolai risultano particolarmente virulenti e lasciano ragionevolmente ipotizzare ad una diffusione mediata da carrier ovvero da un veicolante….”. Come dire: la coincidenza nello spazio tra aree inquinate ed aree affette da epidemia era chiara da subito, ma abbiamo anche la coincidenza temporale. Sono stati rilevati, in Lombardia, almeno tre episodi di grave inquinamento atmosferico che si situano a due settimane esatte di distanze da altrettanti episodi di crescita incontrollata del numero di contagiati. Forse non ci sono altri misteri da svelare in questa vicenda; i curiosi possono andare a rileggersi il rapporto originale, tenendo a mente la bibliografia pregressa centrata sulle epidemie in Asia.
Posto che il particolato atmosferico – i vari PM10, PM2,5 – pare non essere una buona cosa se tentiamo di contenere una epidemia come quella attuale, forse dobbiamo pensare ad alcuni provvedimenti per ridurre i rischi. Voi cosa fareste? A me viene in mente, ad esempio, un blocco severo della circolazione automobilistica e un chiaro incentivo alla bicicletta. In fondo anche il trasporto pubblico locale potrebbe avere significato, a patto di caricare poco i mezzi e di obbligare i passeggeri a coprirsi il volto. Viaggi a lungo raggio ed ingorghi di autovetture no, quelli bisogna farli sparire subito. I nostri amministratori locali hanno fatto il contrario: hanno dimezzato il tpl – tanto per accrescere i rischi. Hanno fatto sparire un po di treni regionali, grande novità. Hanno varato norme sorprendenti contro i ciclisti, colpevoli di cosa non si sa. Solo in queste ore si sono posti il problema di contenere i viaggi a lungo raggio; ma unicamente quelli degli emigranti che vogliono rientrare a casa. Nessuno ha fatto nulla per fermare le stufe a petrolio con le ruote, non si ha notizia di alcun intervento specifico. La situazione è banale: i nostri amministratori stanno facendo quello che hanno sempre fatto, e come molti di noi non hanno nessuna intenzione di cambiare rotta. O la va o la spacca: se siamo fortunati, la malattia scomparirà; in caso contrario, avremo risolto il problema del sovraffollamento. Quando si dice il buon governo.
Qui piace riportare numeri. Fermo restando che la sofferenza ANCHE DI UN SINGOLO è sempre una tragedia, se non altro a livello famigliare e ancor più a livello personale, riporto i numeri diffusi ufficialmente al 24/03/2020, però prendendomi la briga di convertirli in percentuali sul totale della popolazione residente e di rischio individuale.
ITALIA
Ricoverati con sintomi: 0,04% (1/2751)
Ricoverati in terapia intensiva: 0,01% (1/17774)
In isolamento domiciliare: 0,05% (1/2103)
Deceduti: 0.01% (1/8850)
Sottoposti a controllo: 0,49% (1/203)
LOMBARDIA
Ricoverati con sintomi: 0.1% (1/1039)
Ricoverati in terapia intensiva: 0.01% (1/8446)
In isolamento domiciliare: 0.09% (1/1125)
Deceduti: 0.04% (1/2414)
Sottoposti a controllo: 0,76% (1/131)
DA NON DIMENTICARE
1) il calcolo dell’incidenza viene effettuato sul totale della popolazione LEGALMENTE REGISTRATA COME RESIDENTE, il che significa che le percentuali andrebbero ridotte in considerazione della base più numerosa alla quale andrebbero applicati i dati rilevati
2) sono consistenti le controversie sulle metodologie di rilevamento dei dati, al punto da determinarne una significatività solo parziale
Detto questo, cercate in ogni modo di evitare il contagio – per quanto minimo, un rischio rimane un rischio ed è bene cercare di tenersene alla larga.