Diamo un’occhiata ad un tema che non sembrava essere poi di gran moda fino a sei mesi fa: la cara buona vecchia inflazione. Come dire: tante persone cercano di spendere banconote per comprare qualcosa, ed i prezzi di quel qualcosa prendono a salire. Sembra facile, ma è una cosetta complicata: non basta stampare quattrini e metterli in giro per fare inflazione. Bisogna anche che vengano spesi – e non accantonati. Se concedo mutui agevolati a speculatori che comprano appartamenti di lusso a Londra, l’immobiliare londinese in effetti vede crescere i prezzi; ma il pane non cambia affatto di prezzo. Se invece comincio a far girare sussidi ed incentivi nelle mani di tutti, la musica è diversa assai: chi non ha niente corre a spendere, e ci vuol poco a capire su quali beni e con quali effetti.
Indici dei prezzi per energetici, metalli, agroalimentare. Fonte: IndexMundi.
E così ecco un po di serie storica via IndexMundi / FMI sugli indici dei prezzi di energetici, metalli, e cibo. Si tratta di medie pesate che considerano l’incidenza reale di ogni singola commodity sul relativo paniere di beni. Se ricordo bene i valori 2005 sono assunti come valore 100% – ma qualsiasi annata può fare da riferimento. In pratica la grafica risultante è un sunto di vent’anni di storia del mondo contemporaneo, almeno in senso economico. Ci possiamo riconoscere una moltitudine di eventi: la crescita dei prezzi al passaggio di millennio, l’estate rovente del 2008, il tonfo successivo. In particolare il mercato dell’energia, dominato dal petrolio, ha rappresentato forse la preoccupazione più grande almeno fino al 2014: da lì in poi, la situazione è cambiata parecchio. Perfino la crescita recente delle quotazioni non ha restituito agli energetici il ruolo di principale fonte di problemi nel campo dell’inflazione: adesso a tenere banco sono metalli e cibo.
E se i prezzi salgono, e stanno salendo davvero da almeno un anno, allora è lecito domandarsi quali saranno le conseguenze. Nel mondo dei ricchi sono cose come l’allargamento della pletora dei poveri, magari sporadiche proteste e qualche mutamento politico. Nel mondo dei poveri, quelli che si sognano 3 o 5 dollari al giorno per vivere, avremo invece fame, sommosse, colpi di stato, guerre civili ed altre simili piacevolezze. La relazione tra prezzo del cibo – il carovita, come dicevamo noi italiani qualche anno fa – ed instabilità sociale è intuibile per chiunque, ma si può anche quantificare in modo leggermente più preciso. Per avere qualche idea sul tema, vi propongo il lavoro vecchiotto intitolato “The Food Crises and Political Instability in North Africa and the Middle East“, disponibile via Cornell University. Uno studio di 10 anni fa, che comunque fotografa abbastanza bene la natura del problema.
Indice dei prezzi degli alimentari, instabilità sociale. Grafica: Lagi, Bertrand & Bar-Yam.
La seconda immagine è presa a prestito dall’articolo originale – ed è una immagine che ha goduto di una qualche notorietà alcuni anni or sono. E’ costruita mettendo assieme il parametro Food Price Index edito dalla FAO e le varie proteste e sommosse registrate in Nord Africa e Medio Oriente prima del 2012 – con tanto di conta delle vittime accertate. Quel che c’è da vedere è abbastanza prevedibile: fai crescere il prezzo del cibo, e in breve tempo otterrai un’ondata di rabbia popolare. Che è poi possibile cavalcare per fini politici eventualmente assai deplorevoli: conosciamo tutti il significato delle “primavere arabe”, e la scia di distruzione che ne è seguita. Il Food Price Index proposto nella seconda immagine è un indice di quotazioni “di giornata”: non è corretto per l’inflazione. Adottando la seconda soluzione, semplicemente i valori di apice dei prezzi del 2008 e del 2011 finirebbero con l’essere equivalenti. Il ché non cambia di molto la visione della situazione dell’epoca.
E ora il presente: negli ultimi mesi abbiamo avuto una feroce impennata dei prezzi. A livello globale, il risveglio si è visto prima di tutto negli energetici: i vari lockdown avevano depresso la domanda di carburanti; appena le riaperture si sono fatte sentire, i prezzi sono tornati in alto. Però ci sono altri problemi in gioco: abbiamo un rapido incremento di costi anche per metalli ed alimentari. Catene logistiche in difficoltà, fabbriche a passo ridotto, scorte insufficienti oppure momentaneamente bloccate. Faremo a meno di qualche lastra di alluminio, ma mangiare dobbiamo mangiare: e per quel che concerne il cibo, secondo FMI siamo ormai ai prezzi roventi del 2011. Le conseguenze non tarderanno a farsi sentire, prima di tutto nelle contrade più povere del pianeta. Vedremo poi fin quando i banchieri centrali vorranno continuare a spingere l’inflazione con politiche monetarie così accomodanti; passata la prima ondata di rivolte, un problema dei più poveri, ben altre potrebbero essere le vittime di questo nuovo disordine monetario ed economico.