Ghiacciaia abbandonata: la primavera oggi, e nel XIX secolo

Nel territorio del mio comune abbiamo la fortuna di ospitare una villa patrizia del XVII secolo. E’ un oggetto notevole, rimaneggiato in epoca successiva al passaggio di proprietari con vedute diverse. I giardini formali originari, solo in parte preservati, sono circondati da addizioni ottocentesche che forse hanno importanza ancora maggiore: si tratta di uno dei giardini romantici più grandi ed importanti del nord Italia. La disgrazia della villa, e del parco: si tratta di un bene pubblico detenuto dai comuni del circondario. Un bene pubblico in Italia di solito non se la passa molto bene, ma il fatto di accavallare amministrazioni diverse peggiora la situazione. Ora che è arrivata la primavera, questa è la meta ideale per chi vuol farsi un giro in bici.

Collina della ghiacciaia, villa a Castelfranco, plataniTra le tante cose che caratterizzano il luogo dobbiamo ricordare la grossa ghiacciaia. Non è ovviamente l’unica nei paraggi, ne conosco parecchie altre in vario stato di conservazione. Però è un oggetto interessante, tipico delle grandi tenute della nostra pianura. Veniva riempita di neve a fine inverno, e permetteva di conservare i cibi per mesi al freddo. In termini costruttivi, di solito si trattava di un recipiente in muratura avente la geometria di un grosso uovo; non so se siano state utilizzate anche forme prettamente sferiche, non lo posso escludere. Il pavimento di fondo era piatto, almeno per una parte del diametro massimo della struttura. Anche questa tenuta, operando come una grande azienda agricola, aveva necessità di conservare al freddo le derrate alimentari.

Entrata della ghiacciaia a Castelfranco, cancello in ferro, corridoio.La porta di entrata della ghiacciaia si trova abbastanza in alto, quasi alla sommità del vano ovoidale in muratura. La terra di scavo ottenuta durante i lavori veniva impiegata per rivestire l’opera, migliorandone l’isolamento termico. La grande massa muraria ed il rinterro, assieme alle dimensioni considerevoli, garantivano l’efficacia di questo curioso e gigantesco frigorifero ante litteram. Tutto quello che bisognava fare era procurasi della neve, gettarla dentro alla struttura, comprimerla e godersi il freddo – curando ovviamente lo smaltimento dell’acqua di fusione. Gli spazi disponibili venivano ripartiti per alloggiare sia neve compatta che derrate da conservare. Disporre di una cella frigorifera sicura ed efficace in un’epoca in cui non esistevano nemmeno le lampadine era un vantaggio eccezionale, non c’è dubbio.

Ghiacciaia a Castelfranco, lapide con iscrizione inaugurale sopra alla porta di accesso.

C’è un dettaglio che cattura l’attenzione dei visitatori, proprio sopra alla porta d’ingresso della ghiacciaia: un’iscrizione nella muratura. Più che una pietra scolpita, parrebbe un blocco di terracotta scritto da crudo. Le lettere si leggono male, ma qualcosa ancora si può intuire. Più o meno:

IL DÌ 28 APRI[L]E 18[71]

FU RIEMPITA DI NEVE

GIO. ROMA[GNI]OLI FATORE

La data esatta non è sicura, potrebbe trattarsi del 1870 o del 1890; ci sono altri dettagli incerti nello scritto, ma fa poca differenza. Quel che sappiamo è che alla fine dell’800 un fattore emiliano aveva dato ordine di eseguire il primo riempimento di una ghiacciaia, e aveva anche pensato di mettere una lapide a ricordo dell’inaugurazione della struttura.

E adesso ditemi: quand’è stata l’ultima volta che avete visto la neve in Pianura Padana a fine aprile? A fine aprile, provate a pensarci. No, non una spolverata di neve: proprio una montagna di neve. Per varie ragioni. Se devi riempire di neve una struttura del genere, visti i costi economici, devi essere sicuro di riuscirci. Non puoi rischiare, se aspetti troppo e non c’è neve hai buttato via l’annata. Ammassare neve per preservarla in attesa di riempire la ghiacciaia può essere un’idea, ma con questa scelta guadagni qualche giorno; magari un paio di settimane. No, decisamente la situazione è più semplice: a fine ‘800 in Emilia non era infrequente avere ancora neve al suolo a fine aprile. E soprattutto era normale avere temperature massime ancora insufficienti a fonderla velocemente. La lapide della fotografia basterà a consolare chi si lamenta del freddo, e a ricordare a tutti noi che la osserviamo che il clima a cui siamo abituati oggi non ha molto da spartire con quello che caratterizzava un passato ancora prossimo.

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4 risposte a Ghiacciaia abbandonata: la primavera oggi, e nel XIX secolo

  1. ugo ha detto:

    Magari la neve l’avevano fatta arrivare da qualche cima delle Dolomiti, se non dal massiccio del Bianco…

    P.S. Qualora non fosse evidente, è una battuta.

  2. UnUomo.InCammino ha detto:

    L’Emilia è messa male, l’Emilia occidentale è messa malissimo (v. qui).

    L’Europa è messa male: il “gobbo” di Algeri quest’anno ha tagliato fuori le perturbazioni atlantiche che portano neve in quota e pioggia sotto. Un intero continente senza acqua.

    Però bisogna “crescere”.
    Non ci sarà l’acqua per i campi? Usate quella in bottiglia.
    Così cresce il PIL.
    Che problema c’è, no!?

  3. fausto ha detto:

    La siccità comincia farsi sentire anche nei campi qui attorno. Dover irrigare patate per farle semplicemente germogliare non è simpatico.

    Nel mentre il fiume Po mostra portate di tono agostano. I casi sono due: o comincia a piovere sul serio, oppure passeremo dei guai. Ma forse dobbiamo semplicemente cominciare ad abituarci al futuro prossimo.

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