Disoccupati, occupati, inoccupati. Solita minestra.

Giusto ieri sera potevamo goderci via TG le nuove sconvolgenti notizie sul mercato del lavoro in Italia. Sentite cosa ci viene raccontato, ad esempio nel riassunto de Il Fatto : “… il mese scorso l’Italia ha perso 36mila occupati (-0,2%) e 35mila disoccupati (-1,1%), mentre ha “guadagnato” 53mila inattivi (+0,4%) di età compresa tra i 15 e i 64 anni….”. Come dire che ci sono 71.000 persone in meno tra quelle che hanno un lavoro o lo cercano attivamente; il gap esistente con l’incremento degli inattivi è forse dato in parte dai pensionamenti ed in parte dagli espatrii. Notate bene una cosa: 35.000 disoccupati in meno sono una quantità risibile in senso assoluto, in un paese con una sessantina di milioni di abitanti; ma incidono moltissimo sulla conta dei disoccupati, che è una tribù di dimensione piuttosto modesta.

Fa piacere almeno che si stia affermando l’abitudine di indicare tutti e tre gli attori principali della vicenda: occupati, disoccupati, inoccupati. Occupati: quelli che hanno un lavoro. Attenzione, mica fisso full time: va bene qualsiasi cosa. Per Istat hai un lavoro se riesci a mettere insieme almeno tot giornate lavorate in un mese. Poco importa se sia discontinuo o se la paga sia ridicola e nemmeno certa: hai un lavoro e basta. Disoccupati: quelli che non hanno un lavoro, nel senso che non hanno nemmeno una quantità miserevole di giornate lavorate per mese, e ne cercano uno con ostinazione. Tipicamente devi essere in lista agli uffici di collocamento e devi reagire alle offerte. Inoccupati, o inattivi o sfiduciati: quelli che non hanno un lavoro e non lo cercano nemmeno. Di solito ci si dice che si tratta di persone che non cercano sapendo di non  poter trovare, ma se cerchi tramite conoscenti o con le inserzioni ed il telefono Istat mica ti vede: per loro non esisti. In mezzo ci sarebbero anche studenti, infortunati, puerpere senza posto fisso e via dicendo.

Numericamente parlando queste tre categorie si trasformano in maniera diversa. Le due fette più grosse, occupati ed inoccupati, vanno incontro ad evoluzioni più lente. E’ la schiera dei disoccupati quella che si modifica in maniera più rapida e nervosa. Potete farvene una idea con questo vecchio riassunto. Non è cambiato molto in Italia in due decenni nel mercato del lavoro, eccetto un paio di cose: le rapide variazioni dei tassi di disoccupazione, specie giovanili, e la sostanziale scomparsa dei lavoratori under 25, che non esistono praticamente più. La truppa dei disoccupati – quelli che cercano lavoro per via ufficialmente rilevabile – è piccola e subisce pesanti flussi in ingresso ed uscita; risente anche della condizione economica delle famiglie, più o meno capaci di supportare uno o più membri privi di reddito. Il tasso di disoccupazione è un parametro ballerino, instabile, scarsamente rappresentativo: un ottimo motivo per parlarne di continuo – almeno stando a chi ci comanda.

Tasso di occupazione, partecipazione mercato lavoro, over 14, 15+, Italia Germania Francia Spagna InghilterraTasso di partecipazione al lavoro, 15 anni e più. Grafica: Index Mundi.

Volendo ragionarne per confronti, possiamo servirci dei dati della Banca Mondiale confezionati da Index Mundi; riferendoci al parametro del tasso di partecipazione alla forza lavoro, che noi chiamiamo tasso di attività. L’immagine in alto racconta un paio di cose: ovviamente che siamo messi peggio di altri paesi europei. Siamo sempre il fanale di coda, non ci piove. Nella categoria 15 anni e più, occupiamo la posizione 165 su 180 paesi messi a confronto: circondati da modelli economici del calibro di Egitto, Yemen, Afghanistan. La grafica però racconta anche un’altra cosa interessante: il parametro è sorprendentemente stabile, almeno dalla caduta del muro di Berlino. Nel mondo contemporaneo la capacità di creare occupazione dell’Italia è sempre la stessa: i posti disponibili erano poco più di una ventina di milioni, e tali sono rimasti. Il tasso di occupazione è sempre poco sotto il 50% dei candidati over 14 esistenti.

A seguire i telegiornali sembra che sia caduto un meteorite da qualche parte, o che una guerra abbia distrutto un paio di città. Sapete, il sensazionalismo vende bene. Eppure si applica malissimo al mercato del lavoro nostrano, pressoché insensibile agli eventi esterni: crisi, crolli, riforme, miracoli, rivolte, guerre, diktat. Tutto inutile: gli occupati italiani rimangono ostinatamente sempre gli stessi in rapporto alla popolazione over 14. Cambiano le età medie di chi lavora, più anziano che mai; scompaiono i giovani occupati, ormai estinti. Ma di posti di lavoro in più o in meno neanche a parlarne: se c’è una cosa garantita, è che resteranno proporzionalmente gli stessi qualunque cosa succeda. Forse dovremmo prendere atto di questo fatto, e ragionare su come gestire e dividere il lavoro. Non è scontato che, anche a prezzo di enormi sforzi, possiamo crearne altro.

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10 risposte a Disoccupati, occupati, inoccupati. Solita minestra.

  1. LorenzoC ha detto:

    Io non capisco il concetto che si possa “creare” il “lavoro”.
    Io non “creo” la cacca, si tratta di un sottoprodotto del fatto che mangio. Se non mangio, non caco. Quindi perché esista il “lavoro” deve esistere il contesto, le premesse. Non mi nomini lo Stato, che stipendiare la gente per non fare nulla non è “lavoro”.

    • fausto ha detto:

      Discorso interessante. Io sono un dipendente pubblico, e ho mal di schiena; no, non ho giocato a tennis. Com’è diversa la vita reale dalle sciocchezze che ci si racconta al bar, vero?

      Bando alle facezie. Lo strumento con il quale l’Italia reprime il lavoro si chiama “cuneo fiscale”. Con il cuneo fiscale italiano, un datore di lavoro (privato) deve spendere 2 – 2,5 euro per ogni euro che fa arrivare nelle tasche del dipendente. E’ solo questione di decidere se vogliamo insistere oppure no; e forse non saremo in grado di cambiare rotta per un bel pezzo. Se insistiamo, i posti sono quelli che abbiamo avuto in questi vent’anni: studiamo il sistema per farceli bastare e andiamo in pace.

  2. Gianni giornalista ha detto:

    Articolo interessantissimo… ma anche l’opinione di fausto è interessante, anche se completamente sbagliata. il cune fiscale non c’entra nulla, se non ci fosse il cuneo non si potrebbe creare un solo posto di lavoro in più perchè mancerebbero le imprese, ovvero gli imprenditori, e tutto il contesto di riforme e strumenti per agevolare la libera impresa. e questo perchè?

    Molto semplice e banale, e numericamente l’articolo lo mette in evidenza molto bene. In Italia oltre il 50 percento dei lavoratori campa di stato, lavoro pubblico. e il cuneo fiscale serve proprio a pagare coi soldi delle imprese gli stipendi del pubblico. qui non sostengo che i lavoratori pubblici siano fannulloni e assenteisti e bla bla. NO. Sono semplicemente obsoleti.

    Un esempio? quanti sono i dipendenti delle poste? 143mila. Un governo illuminato sostituirebbe 130 mila i questo con un “mouse”. Quasi tutto ciò che si fa oggi in un ufficio postale, si potrebbe fare con un mouse a costo zero: raccomandate, versamenti, ritiro pensioni, pagamento tasse bollette e multe, e via dicendo. Sparirebbero 130 mila lavoratori “obsoleti”.

    Creeremmo 130mila nuovi disoccupati? Per nulla, creremmo 130mila persone che si attivano per crearsi un lavoro, per cercarlo, e molti di questi diventerebbero imprenditori, artigiani, commercianti, venditori, anche assumendo altri lavoratori. Ecco come si crea il lavoro vero.

    Fin quando persisterà questa zavorra di lavoro pubblico, i posti di lavoro, e gli imprenditori, saranno più o meno gli stessi, e potrai anche azzerare il cune fiscale e creare incentivi, ma nessuno si presenterà a riscuoterli. Il “lavoro pubblico” di fausto, che probabilmente è un grande e onesto lavoratore, è un lavoro inutile (e lui stesso me lo potrebbe confermare), Quel lavoro sere a creare un reddito e un consenso politico.

    Ecco perchè lo Stato non cambia la situazione, e ci vorrebbe veramente poco, perché c’è di mezzo la partitocrazia, la sua autoconservazione, e l’idea della politica come detenzione del potere. PUNTO. Non c’è altro da dire.

  3. Gianni giornalista ha detto:

    POST SCRIPTUM

    E se volete capire il risultato della Spagna che nel grafico appare in tutta la sua evidenza, basta leggere questo 😉 http://www.linkiesta.it/it/article/2012/02/19/spagna-via-il-tabu-licenziamenti-facili-negli-enti-pubblici/5858/

  4. mario ha detto:

    redistribuire il lavoro che c’è, lavorare meno ma lavorare tutti no?

  5. Ijk_ijk ha detto:

    Se il numero degli occupati è costante negli anni forse vuol dire che l’Italia non può sopportarne/supportarne di più. Un limite insito nella nostra indole di italiani. Come a dire che l’operaio medio non può lavorare piu di n ore al giorno, pena il collasso.

  6. Inca Tsato ha detto:

    C’è un errore di fondo in questo articolo:

    non è vero che gli “inoccupati” siano gli sfiduciati che non cercano lavoro.

    Gli “inoccupati” sono quelli che, pur avendo perso il lavoro, lavoravano senza avere un contratto, cosa abbastanza comune e non certo una scelta.

    Gli inoccupati non hanno diritto a nessuna agevolazione come, ad esempio, l’esenzione del ticket per l’acquisto di farmaci.

    Per avere delle agevolazioni, bisogna appartenere alla categoria minima dei “disoccupati”, quindi dimostrare, grazie ad un regolare contratto, di aver perso il proprio lavoro.

    Ad esempio, tutti i freelance che hanno perso il lavoro rientrano fra gli inoccupati e non credo serva fare un elenco delle molteplici categorie di persone che lavorano o hanno lavorato senza contratto. Basti pensare che, se è vero che la disoccupazione giovanile è al 40%, 4 giovani su 10 non lavorano, non hanno mai avuto un contratto di lavoro e al massimo possono aspirare ad essere considerati “inoccupati”, quindi non hanno diritto a niente.

    Per questa “nuova” distinzione di categorie fra chi non ha lavoro, si deve ringraziare la legge Fornero: chi è stato costretto a lavorare in nero, senza una carta scritta (il che difficilmente è una scelta volontaria ma, spesso, è “la prassi” dettata dall’economia) sta un gradino sotto ad un disoccupato.. è soltanto un “inoccupato”.

    Praticamente lo stato di “disoccupato” è diventato una sorta di “privilegio” riservato solo ad alcuni ma non a tutti quelli che non hanno lavoro.

    Gli Italiani ringraziano.

    • fausto ha detto:

      “… lo stato di “disoccupato” è diventato una sorta di “privilegio” riservato solo ad alcuni ma non a tutti quelli che non hanno lavoro. …”

      Una novità relativa. Questa faccenda funzionava esattamente così anche negli anni ’70, è una componente stabile del nostro bizzarro stato sociale. Dubito che potremo attenderci grossi cambiamenti a breve.

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