Binari deserti e danari dispersi: un piazzale batterà la TAV?

Ora che abbiamo un nuovo governo, sofferto e traballante, possiamo tornare a parlare di politiche dei trasporti. Non è che ci siano grandi cambiamenti all’orizzonte, per carità; ma all’affievolirsi delle chiacchiere centrate sull’agone politico è possibile rispolverare pettegolezzi che vertono su altri temi. Vi ricordate la questione degli scali ferroviari? Si tratta di luoghi nei quali merci rinfuse e container vengono sballottati tra treni e camion, con l’intento di fornire accesso alla rete ferroviaria per tutte quelle aziende che non dispongono di un collegamento in proprio ai binari. In svariati Paesi del mondo, le grandi aziende sono collegate direttamente alle reti ferroviarie; nel caso italiano questo capita più raramente. Gli scali ferroviari sono una soluzione alternativa, oggettivamente valida se la taglia aziendale è più piccola. In Italia li abbiamo smantellati con cura certosina, almeno fino a poco tempo fa; pare che ora ci stiamo ripensando.

Sapete bene tutti cosa è accaduto a partire dalla primavera del 2009: i costi dell’autotrasporto erano divenuti insopportabili, mandando in crisi parecchie aziende. Un caso esemplare di selezione darwiniana: chi si è riconvertito al trasporto intermodale è sopravvissuto, mentre chi non lo ha fatto ha chiuso i battenti, o ha dovuto almeno ridimensionarsi brutalmente. Il telegiornale queste cose probabilmente non ve le racconta, magari vi parla delle magnifiche sorti e progressive che ci attendono grazie ai nuovi, costosissimi serpentoni di catrame che ci apprestiamo a disseminare in mezzo ai campi. Qui in Emilia è tutto un discutere di bretelle, passanti e cispadane. Là fuori, nel mondo reale, questa roba interessa esclusivamente a quegli industriali che vendono cemento e catrame. Chi gestisce aziende che devono trasportare grandi partite di merci da e per lontane contrade del mondo ha già fatto scelte differenti, senza troppo strombazzare la cosa: porti e binari, relegando la gomma agli ultimi chilometri del percorso – solo se indispensabili.

E così, si è materializzato tra gli altri esempi un bello scalo merci – o piattaforma logistica come dice qualcuno – in quel di Dinazzano , a pochi chilometri da Reggio Emilia. Un grande piazzale pieno di binari, container, casse mobili, elevatori, motrici e via dicendo, che svolge la funzione di garantire i trasporti al comparto ceramico che occupa le località del circondario. Intendiamoci, non è l’unico impianto del genere: ne esistono altri, come il vicino scalo denominato Terminal Rubiera, o il costruendo e nuovissimo Scalo Merci di Modena – nemmeno da solo in città, esistendone anche un altro poco a nordest. Ma per tornare a Dinazzano, di che si tratta? Semplice: un grosso spiazzo per la manovra, collegato alla rete ferroviaria maggiore a Reggio Emilia tramite un unico binario non elettrificato. Tra tutte le ferrovie immaginabili la più dimessa e spartana, con i suoi desueti passaggi a livello e le curve strette tipiche della prima metà del ‘900. Questo malconcio pezzo d’antiquariato ferroviario ha fatto un miracolo: ha salvato il comparto ceramico modenese e reggiano da morte certa.

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Leggiamoci un resoconto delle attività dello scalo di Dinazzano: lo fornisce l’Autorità Portuale di Ravenna, nella sua rivista periodica al n° 02/03 febbraio/marzo 2017. Stando alla descrizione del presidente: “… Nel 2016 nello scalo sono state movimentate circa 3.746.000 tonnellate di merce, ritengo che in base a questi numeri (in crescita da molti anni) e ai bacini di provenienza si possa considerare DP uno snodo primario in Italia per le nostre tipologie di merci …”. Uno degli intenti primari dello scalo è garantire il collegamento con i porti, vera via privilegiata per il commercio internazionale: “… Nel 2016 abbiamo effettuato 1830 treni sulla tratta RA/Dinazzano e mi sembra che i numeri siano dalla nostra …”. Esiste anche qualche problema, segnalato da tempo: “… Vi sono tratte, non solo sulle linee in arrivo a Ravenna ma ad esempio nella cintura bolognese, da dove passano i treni merci, dove la velocità massima consentita è di 50km ora, questa limitazione che si aggiunge ad altre sulla tratta Castelbolognese Ravenna di fatto riduce la potenzialità di tutto il trasporto merci su ferro …”. Tra binari unici, antiquate tratte diesel, bizzarri limiti di velocità e cantieri infiniti i container che tentano di raggiungere le nostre aziende via treno hanno di che divertirsi. Ma non demordono.

E ora saltiamo di pali in frasche: si torna discutere di Alta Velocità sulla tratta Torino Lione. La storica ferrovia esistente, elettrificata e a doppio binario, non sembra piacere più di tanto. Nasce così molti anni or sono l’idea di affiancarla con una ferrovia nuova, in gran parte in galleria, costruita a quote più basse e con pendenze più modeste; non proprio alta velocità, che in galleria è difficile correre, ma forse una elevata capacità per le merci. Allo stato attuale gli scavi proseguono a rilento, ma non per realizzare la leggendaria “galleria di base”: quello che si è scavato finora, a parte i buchi di bilancio che dovremo ripianare in futuro, è un sistema di cunicoli esplorativi propedeutici al cantiere vero e proprio. Ricordiamo sempre che la galleria esistente tra Bardonecchia e Modane è stata adeguata alle moderne sagome ferroviarie in uso in Europa già nel 2007 – 2010. Nel frattempo si continua a spendere per i cantieri della nuova TAV, e non solo per scavare: c’è anche la militarizzazione della Val di Susa, costosissima, conseguita alle proteste degli anni passati. Il conto economico è incerto, ma stiamo parlando di tanti soldi. E ora poniamoci la domanda esistenziale: quale flusso di merci dovrebbe gestire una nuova ferrovia tra Italia e Francia? Il traffico mercantile esistente o prevedibile per il futuro giustifica la costruzione di una nuova e dispendiosa linea ferroviaria?

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I dati relativi al traffico merci attraverso l’arco alpino non sono poi così difficili da scovare. Gli sforzi del nostro MIT per tenerli nascosti sono vanificati dalla pessima abitudine che hanno altri Paesi europei di fornire dati trasparenti in tema di trasporti. Vi propongo il report Alpinfo, emesso dalle autorità federali elvetiche e riassunto nella immagine in alto per l’edizione 2014 – per il solo arco alpino interno compreso tra Moncenisio / Fréjus e Brennero. Dalla caduta del Muro di Berlino in poi, i traffici transalpini hanno preso a svilupparsi rapidamente: l’Austria è la via preferita per l’interscambio con l’Europa orientale. Nel complesso, sia Austria che Svizzera hanno vissuto un incremento dei traffici merci ai valichi. La Francia è un’altra partita: dopo la crescita degli anni ‘90, si è verificata una caduta inesorabile dei volumi scambiati. In particolare, a risultare del tutto marginalizzato è proprio il traffico merci su rotaia – forse cannibalizzato dai migliori e più recenti valichi svizzeri; gli scambi su strada comunque si sono ridimensionati anch’essi. I dati numerici sono impietosi: il traffico mercantile su rotaia in Austria e Svizzera è cresciuto, almeno fino a qualche anno fa, mentre nel caso francese si è praticamente estinto. Ad oggi, stiamo parlando di circa 3,3 milioni di t / anno per il Moncenisio; Ventimiglia non va oltre le 500.000 t/anno. Non c’è altro, e si tratta di valori stabili da parecchi anni.

Senza voler contestare la legittima aspirazione a rilanciare il trasporto ferroviario alla frontiera alpina, possiamo almeno chiederci se stiamo distribuendo i soldi pubblici in maniera sensata? Lo scambio di merci su rotaia tra Italia e Francia orbita attorno a 3,2 – 3,7 milioni di t / anno da un decennio. Uno sgangherato scalo merci di provincia come quello descritto in apertura già oggi movimenta ogni anno una quantità di materiale equivalente o forse leggermente superiore. Se dovessimo decidere badando ai pesi – e le merci si misurano a tonnellate – allora finiremmo con lo scommettere su di esso la stessa quantità di danari pubblici che spendiamo per intervenire in Val di Susa. La situazione osservabile invece è diversa: tutti i fondi disponibili sono stati diretti o verso fantasiosi progetti di gallerie che collegano deserti industriali privi di popolazione e fabbriche, oppure verso autostrade fuori dal tempo che hanno già esaurito la propria funzione ancor prima che si possa iniziare a costruirle. Nel mentre, i nostri container insistono ostinatamente a fare lo slalom tra curve, limiti di velocità, binari unici e aree di manovra troppo corte trainati da motrici diesel. Forse non abbiamo più tempo per rimediare a queste sciocchezze. La pagheremo cara.

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20 risposte a Binari deserti e danari dispersi: un piazzale batterà la TAV?

  1. Michele ha detto:

    Ottimo come sempre.
    Dovresti riprendere a scrivere più spesso.

  2. UnUomoInCammino ha detto:

    > Gli scali ferroviari sono una soluzione alternativa, oggettivamente valida se la taglia aziendale è più piccola.
    > In Italia li abbiamo smantellati con cura certosina, almeno fino a poco tempo fa; pare che ora ci stiamo ripensando.

    Fu l’insensata cura delle linea snelle (ovvero anoressiche) secondo la gestione Moretti (beh, la linea che ha costi di manutenzione minimi, in effetti, è quella che non esiste, no!?).
    Sul forum di Ferrovie lessi, tempo addietro, di un’azienda di manutenzione e rinnovo di materiale ferroviario al quale era stato tagliato il deviatoio del proprio scalo con… materiale rotabile all’interno, nella furia “dello snellimento senza se e senza ma”.
    Sempre nello stesso forum leggo di costi annui (canoni) ESORBITANTI per ogni raccordo ferroviario.
    Ora, io vorrei sapere i costi annui di manutenzione di un deviatoio e poi paragonarli a quanto viene chiesto alle aziende “raccordate”.
    Perché se la politica industriale è quella compiuta da Telecom sui fissi, una vera e propria gallina dalle uova d’oro, una politica di rapina, non si va da nessuna parte. La gallina delle uova d’oro dei canoni mensili per i fissi è stata macellata proprio dalla Telecom: gran parte della clientela, a fronte di ulteriori e ingiustificati pesanti aumenti (addirittura negli anni della crisi e di deflazione) ha rinunciato agli impianti telefonici fissi (domestici e per e piccole aziende): un sistema tecnologico, a regime, ben funzionante, quello della rete fissa, è stato così sbocconcellato, frazionato, spolpato.
    Perché la politica industriale diventa suicida se essa è improntata alla rapina, ad ulteriori ed aberranti aumenti di utili già cospicui, per miopie ingorde che non vanno al di là di qualche trimestrale.

    Sempre sul forum di Ferrovie, lessi invece di un piano quinquennale di Germania e Svizzera di un ripristino SISTEMATICO di tutti i piccoli e medi raccordi aziendali, perché , disse un AD (non ricordo se di DB o di ÖBB o di FFS), una volta che le merci sono salite sulla gomma, la maggior parte delle volte ci rimangono.
    Questo viaggia anche con una riforma dei contratti di lavoro, in Italia sclerotizzati dal solito problema sindacato, per cui in Germania una sola persona (il macchinista), con telecomando del locomotore, esegue l’aggancio del collettame (carri aziendali) e comanda i deviatoi.
    E’ chiaro che non si attua anche questa revisione normativa, e devono essere presenti anche un manovratore, un operaio per gli agganci dei carri, i costi diventano insostenibili, folli e il tumore TIR rimane a impestare le strade.

  3. UnUomoInCammino ha detto:

    Nella linea che utilizzo quotidianamente, invece, varie stazioni sono state regredite a fermate, eliminando il binario di incrocio o, addirittura, alcune centinaia di metri di linea a doppio binario “dimezzata”, creando tratte a binario unico senza incrocio ancora più lunghe, con grave peggioramento nella gestione dei ritardi che ora si amplificano e ripercuotono sull’intera linea anche per metà o due terzi dell’intera giornata, compensati a fatica con soppressione di vari treni.
    Ora, ancora una volta, io vorrei sapere, quali sono i risparmi annuali ottenuti
    o – a fronte dei costi di realizzazione dell’ingegneria, già esistente e demolita, smantellata
    o – a fronte dei risparmi annui in manutenzione, fors’anche assicurativi (supposto che vengano stipulate delle assicuraziioni su danni da malfunzionamenti dei deviatoi).

    Possibilissimo che per risparmiare importi di migliaia di euro (supponiamo n x 50€/h all’anno di manutenzione) si siano spese decine di migliaia di euro per la demolizione/smantellamento e ridotti in fumo centinaia di migliaia di euro di realizzazione.
    Solo dei pazzi potrebbero pensare di “risparmiare” importi rispetto a costi di demolizione di un ordine di grandezza superiore e costi di realizzazione di 2 ordini di grandezza superiore: ci vorrebbero decine e decine di anni per rientrare.
    Ad esempio 2000€/anno di risparmi rispetto a 40000€ di costi di demolizione (20 anni di rientro) e 200000€ di realizzazione (100 anni di rientro).
    Nel frattempo si sono accorti che la linea è diventata instabile (nonostante i comitati dei pendolari avessero indicato con veemenza che ciò sarebbe successo), con ritardi che si amplificano e… in alcune fermate hanno deciso di ricostruire il secondo binario riportandole al rango di stazioni.
    Beh, non male, no!?
    Eco, io vorrei vedere i piani finanziari che hanno “supportato” queste scellerate decisioni e poi intraprendere un’azione di classe risarcitoria nei confronti dei responsabili, no… degli irresponsabili che le hanno ordinate, seguendo le più cretine e insensate mode gestionali del momento.
    Non solo politiche cretine dei trasporti, ci sono anche quelle gestionali!

  4. UnUomoInCammino ha detto:

    Commento rimosso su richiesta dell’autore.

    • UnUomoInCammino ha detto:

      E’ possibile rimuovere il commento sopra e quindi questa richiesta?
      Ho sbagliato a comporre il collegamento.
      Ora lo ripubblico corretto.
      Grazie.

      • fausto ha detto:

        Qui non siamo sul Sole24Ore. Se anche ci scappa un refuso va bene lo stesso. E anch’io ne produco ogni tanto! Comunque do un’occhiata e vedo come fare.

      • UnUomoInCammino ha detto:

        Capisco che non è necessaria la perfezione, ma i collegamenti non apparivano, apparivano male e non funzionavano. Grazie per averli rimossi, visto che erano diventati, per numero, ingombranti.

  5. UnUomoInCammino ha detto:

    Commento rimosso su richiesta dell’autore.

  6. UnUomoInCammino ha detto:

    Niente da fare. Ancora problemi. Per cortesia, elimina anche questa versione del commento e questa richiesta.

  7. UnUomoInCammino ha detto:

    Questo l’ho testato a casa mia (su blogspot) e lì funziona.
    —-
    Un altro caso emblematico è quello della Alfa Acciai di Brescia, zona San Polo, che dista tra i 2 e i 3 km dal punto in cui la ferrovia Brescia – Cremona, tra la via San Zeno e via della Palazzina, sottopassa la tangenziale sud della città cidnea.
    Mi è stato riportato che lo stabilimento siderurgico movimenta quotidianamente centinaia di TIR.

    Ora, quale è stata la politica urbanistica e trasportistica? Zero. Anzi, meno di zero, negativa.
    Invece di imporre un raccordo ferroviario di un paio di km sulla vicina ferrovia Brescia – Cremona, la zona è stata inframezzata di capannoni, villette, opere viarie impestate da un traffico di TIR aberrante. Prego notare che lo stabilimento ha e aveva ampie aree limitrofe per un proprio raccordo ferroviario.

    Quale è l’ordine di grandezza dei trasporti per l’Alfa Acciai di Brescia?
    Supponiamo 200 TIR da 30t di carico di materiale ferroso (rottame in ingresso, acciaio lavorato in uscita) sono 6000t al giorno, sarebbero ca. 6 treni da 1000t sulla rete ferroviaria non sarebbe certo uno scalo poco utilizzato e 200 TIR in meno sulle strade!!

    6000t x 22 giorni lavorativi x 11 mesi/anno = 1452000t/anno.
    Per una sola azienda.
    Possiamo anche ridurre del 50% le stime, sono 726000t/anno, una sola azienda/stabilimento!!

    E per i prodotti siderurgici non serve certo il JIT (Just In Time) come potrebbe essere per un camion di ostriche fresche dalla Normandia a Montecarlo, un trasporto ferroviario anche in qualche giorno sarebbe più che sufficiente.

    Se il prezzo del petrolio aumenterà e con esso i costi di trasporto su gomma, come saranno gli utili che, giustamente, una sana azienda come la Alfa Acciai deve avere, per un prodotto a valore aggiunto medio? Non è una politica insana, ad alto rischio per un patrimonio economico, di competenze, di lavoro per la città lombarda?

    Questo solo per un’azienda: prego moltiplicare per il numero di aziende simili in Italia.

    Quale è la politica urbanistica e trasportistica? Una politica folle e suicida basata sulla TIRossicodipendenza, dipendenza da catrame e gomma che da anni imperversa anche nelle zone del paese “migliori”.
    La stessa politica che getta alle ortiche 24G€ per la TAx in Val di Susa e poi fa i conti da spilorcio per lo scalo di Dinazzano o altri che, semplicemente, purtroppo, non esistono o, peggio, sono stati smantellati.

    • fausto ha detto:

      Ora i collegamenti funzionano, mi sono limitato a rimuovere i commenti con i link sbagliati. Raramente mi capita di intervenire sui commenti.

      Che la questione trasporti sia in realtà una propaggine del nostro approccio all’urbanistica è cosa nota: edifichiamo male e trasportiamo malissimo. A volte mi meraviglio un po dell’esistenza di esempi abbastanza virtuosi qui in Emilia; si tratta comunque di realtà rese possibili dall’interessamento di gruppi industriali molto grandi. Fosse per i nostri politici, lo dico con imbarazzo, non avremmo altro che catrame e copertoni.

      • UnUomoInCammino ha detto:

        Anche qui in Emilia ci sono i catramitici…
        Fu proprio DB a mantenere in vita Dinazzano, intervenendo, perché molti locali avevano in mente il prolungamento della A22 da Modena fino a Sassuolo, volevano che girasse tutto su gomma e erano ostili a Dinazzano.
        Io ho scritto peste e corna su Del Rio, ma egli, aveva una visione dei trasporti illuminata, dopo anni di pessima politica, una persona che aveva fatto ripartire la cura del ferro per l’Italia anemica, autossicodipendente e TIRossicodipendente.

  8. UnUomoInCammino ha detto:

    In questa pagina (purtroppo le pagine citate da Ferrovie.it non sono più disponibili o hanno cambiato URL) cito anche il “fulgido” esempio di antipolitica trasportistica (meno ferrovie e più TIR) attuata dal PD che soppresse una promettente ed avviata realtà di collegamento ferroviario merci quotidiano, con carri porta contenitori RA LI via ferrovia Faentina.

  9. UnUomo.InCammino ha detto:

    Ecco un aggiornamento da parte di Legambiente.
    Il fanatismo pro traffico (merci) su gomma trova sempre linfa nuova, nonostante l’evidente irrazionalita’, i danni, l’evidente peggioramento sistemico che queste antipolitiche comportano.

    Piastrella di Sassuolo insostenibile
    https://www.legambiente.emiliaromagna.it/2019/06/07/piastrella-di-sassuolo-insostenibile/

    • fausto ha detto:

      Ormai mi ritrovo a pensare che non ci sia soluzione, eccetto la bancarotta. Smetteremo di combinare sciocchezze (al catrame) solo quando andremo a sbattere. Una conclusione amara per chi ha sperato di poter cambiare qualcosa in meglio.

  10. UnUomo.InCammino ha detto:

    Da tempo considero il Corriere della Sera l’esempio piu’ lampante di come un quotidiano (il piu’ autorevole) possa diventare, in poco tempo, un dozzinale e squallido tabloid politicamente corretto progressista basata su menzogne, adulterazioni e omissioni.
    Ora pure la Gabanelli e’ entrata nel vortice al peggio, con questa elegia dell’autostrada / bretella Sassuolo – Campogalliano.

    Infrastrutture in Italia, perché non bastano 20 anni per fare un’autostrada

    Solo degli imbecilli possono pensare di risolvere il problema di “ottomila camion al giorno” aumentando catrame e camion.
    Non una menzione una al provvidenziale successo dello scalo di Dinazzano, del trasporto su ferrovia. Dopo vent’anni questi catramitici sono ancora li’ a voler fare un’autostrada senza se e senza ma.

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